Ci siamo. Nella serata di Lunedì 16 Settembre Matteo Renzi ha compiuto il passo decisivo per definire la separazione dal Partito Democratico e dare vita alla sua nuova “casa politica”. Il precedente articolo pubblicato, oltre a fare il punto sulle manovre renziane degli ultimi giorni e sul processo che ha portato alla nascita di Italia Viva, ha raccolto le prime reazioni provenienti dal mondo politico. Qui di seguito due autori di Giovani Reporter, Duilio Rega e Federico Speme, commentano la notizia esprimendo le loro idee, diverse e diametralmente opposte.
Federico Speme
La prima critica che vorrei muovere riguarda le dubbie motivazioni che si celano dietro al gesto dell’ex segretario. Secondo Renzi, a separarlo dai suoi ex colleghi sono divergenze soprattutto ideologiche: il partito starebbe dimenticando la sua natura plurale per spostarsi troppo a sinistra. E in questo modo si starebbero aprendo enormi spazi al centro, addirittura “praterie”, lasciando tanti elettori liberal-progressisti e cristiano-democratici privi di rappresentanza. A guardar bene, però, analizzando le esperienze di governo del Partito Democratico (e dei suoi predecessori) negli ultimi vent’anni, non emergono particolari differenze politiche tra i governi della segreteria Renzi e quelli precedenti.
Romano Prodi, il più stimato tra i padri nobili del PD, ha contribuito a smantellare l’IRI, l’ente pubblico fulcro del ruolo statale in economia. Una figura come quella di Massimo D’Alema, oggi tanto osteggiato, si potrebbe in realtà inquadrare come un “renziano” ante litteram. Fu lui il primo leader della sinistra affascinato dal modello americano: appoggiò gli Stati Uniti nella guerra in Jugoslavia e cercò (pur senza successo) convergenze con Berlusconi per riformare la Costituzione verso un esecutivo più forte.
Perfino Pier Luigi Bersani, membro dei governi Prodi (1996-1998 e 2006-2008) e D’Alema (1998-2000), si definisce orgogliosamente “più liberale di Renzi” e parla con entusiasmo delle liberalizzazioni economiche implementate da ministro. E Zingaretti non è da meno visto che ha criticato il governo giallo-verde quasi sempre da posizioni “pro-business”. Insomma, non solo non sono state le idee politiche a rendere Renzi un “alieno”, ma lo stesso “renzismo” per certi versi non è un’invenzione recente. Sono queste le ragioni per le quali la nascita di Italia Viva mi sembra più l’ultimo capriccio di un leader egocentrico e incapace di fare squadra piuttosto che un’iniziativa davvero genuina ed ispirata.
Duilio Rega
C’è chi ha considerato questa novità come il capriccio di un politico egoista e presuntuoso e chi invece si è affrettato ad accoglierla con entusiasmo; appare però piuttosto discutibile il fatto che una notizia del genere abbia suscitato tanto stupore: era da mesi, se non da anni, infatti, che diversi addetti ai lavori profetizzavano la nascita di un fantomatico PdR, il partito di Renzi. La cosiddetta “operazione di palazzo” si è effettivamente verificata per ammissione del suo stesso fautore, che giura però che le motivazioni della sua fuoriuscita dal PD e della nascita di questo nuovo soggetto politico siano ben altre: la fine dell’idillio (molto probabilmente mai nato) con il PD e la voglia di dare una nuova visione di futuro non soltanto all’Italia ma anche e soprattutto ai suoi giovani.
Per rispondere a determinate critiche, dunque, non è necessario fare troppi passi indietro e per rimarcare una delle principali divergenze di pensiero e di visione politica tra Renzi e molti dei suoi ormai ex colleghi di partito è sufficiente tornare al 2016 e pensare a quanto sia stato determinante ai fini del fallimento del referendum costituzionale la campagna a favore del No che in molti all’interno del PD hanno sostenuto, schierandosi a tutti gli effetti contro l’indirizzo dato al partito dal proprio segretario.
Da parte del PD si potrebbe dire che questa sorta di “resistenza” interna al partito sia stata legittima e necessaria per via dell’evidente incompatibilità tra le idee alla base del referendum proposto da Renzi e i valori fondanti del Partito Democratico; questa motivazione, dunque, a prescindere da quale delle due parti avesse ragione, basterebbe da sola a chiarire la fondamentale differenza cui facevamo riferimento in precedenza sulla visione che Renzi e l’attuale dirigenza del PD hanno del futuro dell’Italia.
Da questa vicenda è però possibile trarre un ulteriore spunto di riflessione: lasciando il 2016 e tornando ai giorni nostri, precisamente all’ultima riunione della Direzione Nazionale del PD, sembra che in molti all’interno del partito, quasi gli stessi che proprio nel 2016 si schierarono apertamente contro la vocazione maggioritaria del referendum renziano, stiano ora considerando di fare un passo indietro su una maggior proporzionalizzazione all’interno della prossima legge elettorale proprio per contrastare l’ascesa del partito di Renzi.
Non sarebbe quindi del tutto errato affermare che, molto probabilmente, coloro che in questi tempi hanno accusato Matteo Renzi di aver posto il proprio ego al centro della vita politica del PD e del Paese siano gli stessi che oggi (se non già nel 2016) sono pronti a fare lo stesso, anteponendo alle necessità dell’Italia di avere un’efficace legge elettorale il bisogno di fermare lo sviluppo della nuova forza politica renziana.
E perché a Renzi non è mai stato perdonato il presunto “tradimento” perpetrato ai danni del PD ai tempi del Patto del Nazareno con Silvio Berlusconi, né tantomeno la sua formazione politica ritenuta piuttosto distante dai dettami del vecchio PCI? Senza scendere nel merito di ciò che avvenne realmente in occasione del Patto del Nazareno o in quello che è il reale background politico di Matteo Renzi, sembra già piuttosto chiaro che sia proprio il trattamento riservato a quest’ultimo negli ultimi anni da parte della “vecchia” dirigenza (la cosiddetta “ditta”) la prima forma di egoismo messa in atto da coloro che lo stesso Renzi, forte di quel 70% di elettori del PD che lo elessero segretario nel 2013, si proponeva di “rottamare”.
Fare la guerra al proprio segretario, ritenuto un estraneo nonostante i voti che lo elessero legittimamente, più che una discussione aperta tra diverse correnti di un partito oggi non può che apparire come l’ultima chance che la vecchia classe dirigente del PD ha avuto per cercare di sopravvivere al “rottamatore” Matteo Renzi. È successo (e continua tuttora a succedere) tutto e il contrario di tutto, dunque, in casa del Partito Democratico, dove l’ipocrisia regna sovrana anche dopo la separazione da Matteo Renzi, che prova adesso a venir fuori dalle dinamiche di partito rimettendo al centro la propria visione del futuro a discapito delle controproducenti lotte tra correnti per il potere all’interno di un partito.
Federico Speme
Se vogliamo parlare di futuro parliamo di futuro, ma quello che si trova di fronte a noi non appare per nulla roseo. Il nostro paese non si è ancora ripreso dalla crisi economica iniziata ormai dieci anni fa e una nuova recessione globale sembra avvicinarsi minacciosa. In Italia, come in altri paesi europei, la soluzione è stata finora la totale rinuncia al primato della politica sull’economia. Per evitare che il peso della crisi ricadesse sulle classi più agiate, i governanti di ogni orientamento hanno attuato le famose “riforme strutturali”, eufemismo per dire austerità. Questi veri e propri salassi sono presentati come sacrifici necessari ma si tratta in realtà di scelte precise, elaborate all’interno di organi i cui vertici sono composti da nominati; cioè persone non sottoposte a un mandato elettorale e spesso legate ad attività di lobbying o evasione fiscale.
Chiunque abbia ricevuto un’infarinatura di economia dovrebbe sapere che essa non è una scienza esatta e che per uscire da una fase di crisi non esiste una sola strada giusta ma le strade percorribili sono molteplici. L’economia, inoltre, è un’invenzione umana ed è ragionevole che l’operato degli economisti debba rispondere ai bisogni dell’uomo. Ciò però sfugge a certi “studiosi” di dubbia affidabilità del calibro di Luigi Marattin. Il principale responsabile economico della nuova formazione di Renzi è da sempre impegnato in una crociata contro i “cialtroni”, appellativo poco raffinato per descrivere quelli che non la pensano come lui. Italia Viva aspira proprio a questo ruolo, diventare il partito dei “competenti“, quelli che, spacciando miseri “zero virgola” per grandi successi, si propongono di guidare i pochi illuminati contro i nuovi barbari. Un po’ come il Movimento 5 Stelle ma con l’intento di rappresentare i vincitori e non i vinti.
Con il partito di Beppe Grillo le similitudini abbondano: entrambi fondati come partiti personali da un (autoproclamato) leader populista, entrambi dotati di una finta democrazia interna ed entrambi del tutto privi di una visione definita della società e sprovvisti di un apparato valoriale specifico. Le tre parole d’ordine indicate da Renzi “crescita, educazione, futuro” suonano inevitabilmente vuote senza degli ideali più profondi in cui inquadrarle. Possono significare tutto e il contrario di tutto, proprio come in uno sketch parodistico de i Simpson o in un manifesto politico tratto da 1984.
In ogni caso posso dirmi ottimista sulle possibilità che, in un paese sempre più post-democratico, Italia Viva possa ottenere buoni risultati elettorali. Sono molto pessimista però sull’impatto che questa nuova formazione possa avere sulla vita dei cittadini e in particolare sulla già decadente cultura politica degli italiani. Non voglio che la democrazia si trasformi nell’elezione del rappresentate di classe delle scuole superiori. Gli elettori devono avere tante scelte differenti e votare per affinità di idee, non per il più “allegro e divertente” né per quello più “competente”.
Duilio Rega
Anche per rispondere a questa seconda argomentazione è necessario fare un ulteriore passo indietro: in primis, bisogna andare oltre una serie di illazioni più o meno condivisibili sulla natura delle istituzioni europee e sull’operato degli economisti (anche se è doveroso specificare che il sopracitato Luigi Marattin, oltre ad essere uno stimato docente universitario, è stato, in quanto consigliere economico dei governi Renzi e Gentiloni dal 2014 al 2018, un importante artefice della crescita economica dell’Italia dopo anni e anni di recessione e stagnazione); tornando ai tempi del governo Renzi, infatti, l’allora Presidente del Consiglio fu uno dei principali sostenitori della lotta alla rigidità dell’austerity all’interno dell’Unione Europea, riuscendo ad ottenere per il nostro Paese la cosiddetta “flessibilità” in materia economica che garantì all’Italia di passare dal -1,7% del PIL del 2013 (anno precedente all’insediamento di Renzi) al +0,9% del 2016 (anno delle sue dimissioni).
In questo senso, probabilmente “l’errore” più grande di Renzi è stato dunque quello di sostenere con forza le proprie idee e spendersi per esse “soltanto” presso le sedi istituzionali dell’UE e non sui social, i quali rimangono l’unico spazio comunicativo in cui può purtroppo apparire legittimo sminuire i valori del tasso di crescita del PIL definendoli “un misero zero virgola”. Nel mondo reale, infatti, il 2,6% di differenza tra il PIL del 2013 e quello del 2016 corrisponde, senza voler scendere in ulteriori dettagli di natura economica, ad un sensibile aumento dell’occupazione e dei consumi all’interno di un Paese, un risultato neanche lontanamente raggiunto dall’esperienza di governo appena conclusa tra la Lega e il M5S.
Non si tratta dunque di essere vincitori o vinti, si tratta davvero di essere competenti: l’obiettivo di ogni Stato (e di ogni suo cittadino) è crescere, non soltanto economicamente, ed è sicuramente vero che ogni elettore ha il diritto di votare per il partito e per il politico con cui sente di avere più affinità; la competenza, però, dovrebbe essere un valore universale all’interno della classe politica, così come l’elettorato dovrebbe essere universalmente in grado di riconoscere questa competenza, ove presente, in quanto i fatti hanno dimostrato che purtroppo non tutti i soggetti politici che riempiono oggi lo spazio della politica italiana possono essere ritenuti competenti.
In questo senso, la decisione di Matteo Renzi di separarsi dal PD per fondare Italia Viva non potrà che portare beneficio ai nostri elettori, i quali avranno semplicemente una possibilità di scelta in più all’interno del panorama politico italiano; starà poi a Italia Viva proporre la visione di futuro più appropriata per il nostro Paese, affiancando a tale visione la competenza necessaria a raggiungere gli obiettivi che questo nuovo partito si auspicherà di raggiungere per se stesso e per l’Italia.
Duilio Rega – Federico Speme
L’articolo firmato da Federico Speme sulla nascita di Italia Viva: