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La Verità nell’era della post-Verità

Verità

Ogni patto di fiducia nella storia dell’umanità è destinato ad essere tradito, in un qualche modo, in un qualche momento. È andata così anche per il patto fra la verità e la nostra stirpe. Questa prima rottura non è ovviamente in alcun modo rintracciabile, in quanto è vecchia almeno quanto la Storia stessa; ma, fin da quando ne ha memoria, l’uomo si è servito della menzogna per raggiungere più facilmente i propri scopi, circumvenendo i limiti che la realtà stessa avrebbe voluto imporgli. Del resto, questa apparente “potenza” del falso di soverchiare i dogmi e i cardini stessi del vero assoluto, di poterli oltrepassare ed offuscare con una coltre di fumo, come sostengono alcuni, è fra le caratteristiche che lo rendono così attraente per molti.

La parola

L’etimologia della parola verità secondo alcuni è riconducibile al sanscrito vrtta, “fatto”, “accadimento”, qualcosa di realmente avvenuto. Un’altra interpretazione attribuisce la sua origine alla radice var- che in zendo (la lingua degli antichi testi sacri zoroastriani) ha a che fare con credere; da cui il sanscrito varami, che significa “scelgo”, “voglio”, a sottolineare come l’adesione e il riconoscimento, per la verità, risultino spesso tragicamente facoltativi. La duplicità nelle ricostruzioni etimologiche della parola è di per sé indicativa di quanto anche i concetti più assoluti, i pilastri sui cui abbiamo fondato la nostra società, che daremmo per scontati come intoccabili e inattaccabili, siano in realtà soggetti a interpretazioni a volte anche divergenti, che di frequente ne vogliono stravolgere la natura. Ovviamente questo non è il nostro caso, non c’è alcuna cabala intenta a modificare l’origine di questa parola, tuttavia non si può non notare, con una certa ilarità, che persino nel definire la verità stessa, non vi sia un’unica verità.

Una duplice natura

Alcuni potrebbero dire che questa ironica situazione si presenti solo nella nostra lingua, e in generale in quelle con le radici ben ancorate al latino, a sua volta erede dell’indoeuropeo; tuttavia non è così: in inglese le parole “truth” (verità) e “true” (vero, veritiero) possiedono etimologie altrettanto variegate e complesse. Truth deriva infatti da  trýwþ, parente della parola trûui in Antico Sassone, a sua volta legata all’Alto Germanico triuwu (da cui proviene la parola tedesca moderna treu, “fedele”), in Gotico triggws, tutte derivate dal Proto-Germanico *trewwj– “essere in buona fede” e riconducibili al Proto Indoeuropeo *dru: “albero”, che segue il concetto di  “duro/fermo/forte come una quercia” esistente non solo in italiano, ma anche in latino (il genitivo di vis, roboris, da cui deriva il nostro “robusto”, è preso dalla parola robur, “quercia”). Altra possibile, per quanto più improbabile, etimologia è quella che si rifà al sanscrito taru, “albero”, collegandosi al concetto sopra citato, da cui discenderebbe l’Antico Nordico trú, “fede, lealtà, parola d’onore, fede religiosa”.

Da questo groviglio abbastanza incomprensibile di discendenze linguistiche, si evince un concetto fondamentale: la natura della verità è duale e duplice: essa è corrispondenza coi fatti, ed è anche il patto di fiducia fra gli uomini per riconoscere questa corrispondenza.

Manipolare la verità

A testimonianza della rilevanza che la verità, e soprattutto l’arte di saperla manipolare, hanno sempre avuto, nel corso della storia bugie piccole o grandi che fossero hanno giocato un ruolo di primaria importanza nella caduta di imperi o nella creazione di Stati ed istituzioni: menzogne diffuse da Augusto contribuirono alla sconfitta di Marco Antonio, falsità come il Dispaccio di Ems furono ottimi pretesti per iniziare guerre e dare vita a istituzioni durate secoli. L’arte della manipolazione della verità, dunque, è sempre stata un grande strumento di potere per coloro che la possiedono: è opportuno approfondire il concetto in alcune delle sue sfaccettature, per poi ricollegarci al presente e ai fatti del mondo.

Il gradiente di offuscamento

La manipolazione della verità può avere luogo in molteplici e variabili forme, e, per analizzarle, è necessario concentrarsi sul suo primo aspetto: la corrispondenza ai fatti oggettivi e alla realtà fisica; per poi spostare l’attenzione su come queste manipolazioni sfruttino su larga scala il secondo aspetto che la caratterizza: il patto di fiducia fra gli uomini. La prima chiave di lettura è la più nota e si potrebbe dire che si può sintetizzare con un “gradiente di offuscamento”: quanto più è alto questo gradiente, tanto più la corrispondenza fra verità e vero è obnubilata, intorbidita, resa tortuosa. Le semplici bugie giacciono a metà di questa scala, perché, da una parte, rendono il nesso momentaneamente intellegibile, alterandolo; ma dall’altra, in ogni caso, il velo è transitorio e cade in fretta, mentre le omissioni si collocano in fondo e gli emendamenti a testi generalmente accettati come veri (giornali, libri di storia, libri di testo) sono all’apice del gradiente. Queste ultime parole non sono state scelte a caso, in quanto tutte le azioni di disinformazione giocano sul legame intrinseco fra verità e fiducia: è a seconda della fiducia che si è instaurata fra chi offusca la verità e chi ne subisce, che la menzogna diventa efficace.

La post-verità

Risulta evidente come questa condizione appena descritta sia specialmente valida quando parliamo del dilagante fenomeno delle fake news e dell’esponenziale crescita nell’uso della menzogna in politica e in generale in tutte le sfere della società. Esempi di questo particolare sfruttamento si possono trovare disseminati dovunque nel corso della nostra storia, tuttavia l’impressione che abbiamo della società odierna è che questo fenomeno sia molto più dilagante che in passato, e in effetti è così: dove un tempo le grandi campagne di diffamazione, mirate ed oculate, erano ristrette nella loro entità e nei loro obiettivi a singole persone o gruppi, la maggior parte delle menzogne si limitava ad una natura individuale e temporanea, un mero strumento asservito a uno scopo. Quello a cui assistiamo oggi, invece, è una società descritta perfettamente dalla Parola dell’Anno del 2016, dall’Oxford Dictionary: post-truth, la post-verità.

Prima della Storia

Prima di lanciarci in una dettagliata analisi di cosa intendiamo con questo termine, è opportuno analizzarne gli antefatti e le condizioni precedenti che hanno portato alla sua ascesa. Prendiamo in considerazione innanzitutto alcuni eventi, storicamente attestati, che ci aiuteranno a delineare un’immagine del falso nell’antichità e a capire cosa lo distingue dalla piaga che serpeggia nel nostro tessuto sociale moderno. Prima di servirci di esempi reali, ci rifacciamo a tempi ed eventi appartenenti al mito, e in particolare per parlare dell’inganno del Cavallo di Troia, che è l’esempio più lampante nella mente di molti quando si parla di menzogne. Per funzionare, leggenda narra, esso contava su un greco, Sinone, che si trovava sulla spiaggia e che doveva convincere il popolo troiano ad accogliere la presunta offerta a Poseidone entro le loro mura. Sinone fece leva sulla pietas e sulla devozione agli dèi olimpi, care ai troiani, facendo cadere tutti tranne Laocoonte nel tranello: grazie a questa azione Troia cadde, ma da allora sino al Medioevo e ai tempi di Dante, che lo poneva nella bolgia particolarmente grave dei falsari, il suo nome rimase sinonimo di infamia e doppiezza, coperto di disprezzo.

La persistenza della menzogna

Nelle pieghe di questa storia, magnificamente raccontata nell’Iliade, si nasconde la chiave che ci permette di vedere cosa distingue passato e presente: eventi come le campagne diffamatorie perpetrate da Augusto contro Marco Antonio, le alterazioni storiche inserite dai senatori nelle loro opere a danno degli Imperatori romani, scandali quali il caso Dreyfus, deliberate falsità come la Donazione di Costantino, sono tutti in un primo o secondo momento stati riconosciuti come tali e come tali sono stati trattati. Nessuno, nemmeno i loro stessi autori e fautori, ha mai davvero preteso che quello che creava fosse considerato verità, ma si accontentava che servisse allo scopo previsto prima di finire inevitabilmente nel tartaro dell’oblio generale, che in fondo è, o almeno dovrebbe essere, la destinazione naturale di tutte queste bugie. È qui che il nostro presente si distacca violentemente dal passato: la persistenza della menzogna la vede propagata e ripetuta come verità a un tale livello e con una tale intensità, che alla fine ne acquisisce la stessa rilevanza e credibilità, mentre molti direttamente dimenticano che essa è, in realtà, falsa.

Assuefazione e normalità

Verrebbe certamente da chiedersi cosa abbia portato a questa netta cesura, a questo nuovo assetto della società che ha avuto risultati così disastrosi; c’è da meravigliarsi che le paradossali parole dai Proverbi Infernali di William Blake, “se solo il folle persistesse nella sua follia, diverrebbe savio”, siano divenute, da verbo proprio di un regno di corruzione e decadenza come quello degli inferi, un ottimo candidato a motto della società contemporanea. Fra le innumerevoli e complesse concause, c’è di certo la neonata pervasività dei media, che al giorno d’oggi ci seguono e imboccano di notizie in ogni momento e luogo, dal nostro lavoro ai banchi di scuola, passando dalla poltrona di casa e, perché no, anche dal nostro bagno. Non c’è luogo al sicuro dai media, perché essi viaggiano sui dispositivi che ci accompagnano in ogni momento. In questo non v’è nulla di intrinsecamente errato, e anzi si tratta di un’ottima potenzialità che dovrebbe aumentare il livello di informazione medio della popolazione, tuttavia non è un segreto che quest’ultima non sia caratterizzata, specialmente negli ultimi temi, da una buona capacità discernente. E così il “popolo bue”, inerme di fronte al fuoco incessante che l’artiglieria delle falsità gli fa piovere addosso, alla fine si comporta come i soldati chiusi nelle trincee della prima guerra mondiale: si abitua e lo considera normale.

La popolarità del falso

Menzogne assurde, come quella che vedrebbe la presunta “razza” bianca vittima di un complotto di immani proporzioni volto alla sua “sostituzione” con quella “meticcia” – talmente incredibile che persino ai tempi della caccia alle streghe sarebbe stata ritenuta quantomeno sospetta – prendono sempre più piede e acquisiscono talmente tanta popolarità fra le masse, che alla fine qualcuno decide di agire di conseguenza: nel suo manifesto, l’assassino che in una recente sparatoria ha massacrato ventidue persone ad El Paso, Texas, citava proprio questa teoria della sostituzione, così come aveva fatto prima di lui anche l’autore della strage a Christchurch, Nuova Zelanda.

Quello che non si può dimenticare

La nostra società si rivela dunque tragicamente pervasa della post-verità, dal momento che ha fatto della rottura della fiducia fra uomini il suo cardine e poiché ormai ha perso lo stigma che un tempo serviva a tenere a freno queste violazioni, per via della gargantuesca quantità di falsità riversatele addosso, non si può che essere sconfortati e pensare che presto la verità sarà solo un ricordo lontano. Ad offrire una vana speranza, per chi ne sentisse il bisogno, ci si può rifare ad un adagio dei nostri predecessori, che vede le bugie “con le gambe corte”, e ricordare che in fin dei conti, come insegna l’antico greco, non potremo mai dimenticare la verità, poiché la verità è ἀλητεία, “svelamento”, da α privativo e la radice ληθ-, quella del fiume Lete che ai dannati concedeva l’oblio. E dunque la verità è, letteralmente, “l’opposto di Lethe”: ciò che non si può dimenticare.

Iacopo Brini


Parole Chiave. Un’idea originale di Davide Lamandini. A cura di Francesco Faccioli e Davide Lamandini.

Sull'autore

Classe 2003, mi sono trasferito da Bologna a Milano per studiare Legge e soprattutto per sfuggire alle ire dei caporedattori dopo aver sforato una scadenza di troppo. Mi appassiono facilmente degli argomenti più disparati, invento alfabeti nel tempo libero e ho la strana abitudine di presentarmi in giacca e cravatta anche ai pranzi con gli amici.
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