Il signor diavolo, il nuovo film di Pupi Avati (il trailer in italiano) non è un horror, a mio avviso, non è nemmeno un thriller. È una ballata tetra, un’ode alle ombre, un racconto noir che ci trascina in una scolorita campagna del ventesimo secolo, dove riposano i nostri incubi.
Corre l’anno 1952, e in Italia le elezioni sono alle porte, ma un inquietante fatto di cronaca rischia di far vacillare il dominio della Democrazia Cristiana sul Veneto: un adolescente ha ucciso un suo coetaneo, nella convinzione che fosse il diavolo. La madre della vittima è un’influente nobildonna, e minaccia di togliere il suo sostegno alla DC, dal momento che nell’omicidio sono coinvolti alcuni esponenti del clero.
Questo è quello che il giovane funzionario Furio Momentè viene a sapere dal proprio capo: il suo compito consiste nel condurre un’indagine che smentisca il coinvolgimento della chiesa nel caso. Così ci ritroviamo a seguire l’inesperto ma determinato investigatore nel suo viaggio verso Venezia, durante il quale una serie di flashback ci mostrano i fatti precedenti all’omicidio.
L’assassino è Carlo, un ragazzino apatico, dall’aspetto malaticcio, la vittima si chiama Emilio. Quest’ultimo è l’elemento attorno a cui ruota tutta la storia: Emilio è un personaggio viscido, tenebroso, che racchiude in sé le caratteristiche del negromante e dell’indovino, ma che è soprattutto un simbolo, il simbolo di un male che pervade la grigia valle veneta, e che sgorga direttamente dalle menti dei suoi abitanti.
Di lui dicono che abbia sbranato la sorellina nella culla, che porti male, e appunto, che sia il diavolo; causa di tali superstizioni il suo aspetto deforme, e per questa ragione lo spettatore prova nei suoi confronti a tratti pietà a tratti disgusto. I macabri fatti che accadono attorno a lui, come la misteriosa morte del migliore amico di Carlo, non fanno che alimentare la sua fama di creatura demoniaca.
E Carlo, che si dimostra fin da subito un personaggio squallido, scarno, debole, si lascia facilmente plagiare da un ambiente saturo di credenze popolari, molte delle quali create proprio dalla chiesa. Spinto dal dolore per la morte prima dell’amico e poi del padre, entrambe avvenute in circostanze sospette, finisce per diventare succube di un mondo ottenebrato dalla superstizione e dal disperato bisogno di dover dare un volto al male, e uccide Emilio.
Nel frattempo l’ispettore, tra un interrogatorio e l’altro, non si è avvicinato molto alla soluzione del caso, e anzi, ha così tanto attirato l’attenzione su di sé che il suo capo lo licenzia. Ma Momentè non demorde, e, deciso a scoprire la verità, si addentra sempre di più nei segreti della cittadina, e arriva a scoprire che Emilio potrebbe effettivamente essere stato una persona malvagia; un sacrestano infatti assicura che nella cripta della chiesa della città è nascosto il cadavere smembrato della sorellina, portato lì dai genitori perché fosse nascosto.
L’investigatore non ci pensa due volte, entra nella cripta e raccoglie il corpicino, desideroso di portare alla luce le prove che risolverebbero il caso, ma proprio quando è sicuro di aver messo fine alla faccenda vede la porta del sotterraneo chiudersi sulla propria testa. Colpevole proprio il sacrestano, che era stato uno dei primi ad alimentare le dicerie su Emilio. Al suo fianco, mentre sfoggia un ghigno malefico, c’è Carlo, che si è trasformato nel male che tanto aveva temuto all’inizio del racconto. Queste sono le ultime immagini che l’ispettore vede prima di sprofondare nelle tenebre.
Che cosa emerge da questo enigmatico epilogo? Che non esiste alcuna verità nella sbiadita vallata veneta: non è importante chi sia il diavolo e chi la vittima, ognuno è rinchiuso nella propria prigione di superstizione e anche i personaggi che sembrano non dar peso alle credenze popolari non appaiono mai sinceri, puliti; basti pensare alla madre di Emilio, che lo vuole difendere a tutti i costi ma lei stessa ha un aspetto funereo, notturno, come quello di una strega. L’unica verità che esiste è quella del male, un male che va ben oltre l’assurda convinzione che un povero storpio sia il demonio, un male che ha radici nelle persone, che si evolve e divora ogni cosa, e anche Furio Momentè, l’unica figura positiva del racconto, perché ha il solo desiderio di scoprire la verità, non può che soccombere di fronte a tanta oscurità.
Anna Passanese
(In copertina una scena tratta dal film “Il signor Diavolo”, di Pupi Avati)