Cronaca

Una Panini a stelle e strisce?

Panini

La Panini, storica azienda modenese produttrice delle celebri figurine dei calciatori, capaci di appassionare bambini e adulti alla spasmodica ricerca dell’ultimo “tassello” utile per completare la raccolta, nonché stampatrice delle strisce di Topolino e dei fumetti Marvel, potrebbe presto passare nelle mani di un gruppo americano. Attualmente il pacchetto azionario è detenuto dalla famiglia bolognese Baroni, e dall’amministratore delegato italo-argentino Aldo Hugo Sallustro, entrato in Panini nel 1992 insieme ad altri investitori italiani.

La Panini dal dopoguerra a oggi

La storia dell’azienda si è arricchita di varie tappe: cerchiamo dunque di ripercorrere quelle più significative. La fondazione risale al lontano 1961. In quell’anno, i fratelli Panini, che avevano già in gestione da una quindicina di anni un chiosco di famiglia e un’omonima agenzia di distribuzione di giornali, decisero di commercializzare un lotto di figurine invendute realizzate dalle edizioni milanesi Nannina, mettendole in bustine bianche al prezzo di 10 lire l’una.

Nacque così il primo album: la copertina raffigurava il centrocampista del Milan Nils Liedholm, mentre la prima figurina stampata fu quella di Bruno Bolchi, il capitano dell’inter dell’epoca. Inoltre, nelle pagine finali dell’album vi era una sezione antologica dedicata al Grande Torino, la celebre formazione granata vincitrice di cinque campionati di fila negli anni quaranta, fino al tragico 1949, passato alla storia per la tragedia di Superga.

Nel 1986 Carlo De Benedetti, attraverso una sua società, la Sabaudia, entrò nella Panini col 25% del capitale, mentre un 10% venne rilevato dalla Mondadori. L’ipotesi di quotare in borsa la Panini non va a buon fine, e due anni dopo venne acquisita dal gruppo Maxwell, nel cui consiglio di amministrazione spiccava un amministratore delegato australiano. Iniziò così un continuo alternarsi di proprietà italiane e straniere, di momenti di difficoltà ma anche di gloria. L’azienda tornò a essere a tutti gli effetti italiana solo nel 1998, quando fu rilevata da una cordata guidata dalla Fineldo s.p.a, finanziaria di Vittorio Merloni, celebre imprenditore ed ex presidente di confindustria.

Le cifre dell’azienda

I numeri della Panini parlano da soli: sono circa cinque i miliardi di figurine prodotti ogni anno dall’azienda modenese, a cui vanno aggiunte una trentina di collezioni in Italia, che corrispondono a circa quattrocento in tutto il mondo, tra le quali si ricorda la prima collezione virtuale italiana lanciata agli inizi del 2000, le cosiddette “play cards”, che si animavano una volta inserite nel computer, con tanto di racconto audio e video volto a narrare le caratteristiche tecniche e la carriera del calciatore in questione.

La valutazione dell’impero delle figurine si aggira attorno al miliardo e mezzo di euro, e sono imponenti anche le cifre riguardanti il giro di affari, che tocca la quota di 500 milioni l’anno, con vertiginose punte di ben 800 milioni in corrispondenza dei campionati del mondo e degli europei di calcio. Recentemente, infatti, gli introiti derivanti dai prodotti legati all’ultima Fifa World Cup disputatasi in terra russa nel 2018 hanno registrato un notevole incremento rispetto a quelli già assai considerevoli del mondiale brasiliano di quattro anni prima.

Il possibile acquirente americano

Pare che al momento la trattativa sia in una fase di stallo, non essendoci ancora accordo sul prezzo fissato dagli azionisti, con una certa discrepanza tra domanda e offerta. L’asta tra i gruppi statunitensi potenzialmente interessati all’acquisizione delle azioni della Panini potrebbe veder emergere il gruppo newyorkese The Topps Company, in origine sviluppatosi nell’industria del tabacco, ma anche produttore di caramelle, gomme da masticare, e figurine, in questo di uno sport assai popolare in America, ovvero il baseball.

Chiudiamo con una notizia che può almeno rappresentare una piccola consolazione per il morale degli estimatori del made in italy: pare infatti che indipendentemente dall’esito della trattativa, il cuore della produzione non si sposterà in giro per il mondo, ma rimarrà nella città di Modena, dove lavorano circa 450 dipendenti.

Stefano Giuffredi

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