Scienza e tecnologia

Epigenetica – Tra determinismo e libertà di scelta

Epigenetica

La nuova stella della genetica

Non finiamo mai di imparare, non finiamo mai di conoscere. Facciamo un passo avanti nella conoscenza e si aprono voragini di nuove domande, di nuove questioni. Newton diceva che quello che noi conosciamo è una gocciolina, quello che non conosciamo un oceano”

Così si spiega Fabiola Gianotti, fisica e direttrice generale del CERN, a chi le pone domande sul tema caldo della ricerca scientifica. E così mi voglio spiegare io, oggi, nel trattare le strade, ancora misteriose, della genetica moderna.

Nel 1953, dalla fucina di menti che era il Cavendish Laboratory, cuore pulsante della Cambridge University, viene rilasciata una bomba ad orologeria: l’affiatata coppia James Dewey Watson – Francis Crick rivela al mondo la semplice struttura a doppia elica del DNA. L’informazione genetica trova una propria collocazione: quel polimero aperiodico – l’acido desossiribonucleico – permette alle cellule di contenere, trasmettere, utilizzare e modificare un’esagerata quantità di bit informativi. Il 25 aprile è la data di pubblicazione dello studio su Nature e di esordio di una nuova epoca: quella della genetica moderna. Da quel momento in poi, lo sviluppo di tecnologie di ricerca sempre più innovative e l’interazione con i saperi biochimico e citologico permettono rapidi sviluppi nella conoscenza del materiale genetico umano. Nel 1959 sono gli studi del medico parigino Jérôme Lejeune sulla trisomia 21, che riconducono una sindrome ad un’anomalia cromosomica, a spianare la strada ad una branca del tutto nuova della ricerca: la genetica medica moderna.

Oggi la genetica permea molteplici aspetti della società, si parla di OGM ed editing genomico in agricoltura, si parla di desensibilizzazione genetica e di programmi molecolari di selezione ed accoppiamento negli allevamenti, si parla di genetica di popolazione in antropologia, sociologia e psicologia. Si parla di genetica nella vita quotidiana. Si utilizzano le “mutazioni genetiche” per perché ancora quello che sappiamo davvero del mondo della genetica non è altro che una gocciolina, la droplet di cui parlava Newton. Tuttavia, ci sono sentieri che stiamo aprendo e candele che stiamo accendendo, per illuminare la via. Una di queste è l’epigenetica.

Marcature e codici epigenetici

Il merito dell’aver coniato il termine “epigenetica” viene attribuito al biologo Conrad Hal Waddington che, nel 1942, la definì come “la branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto, e pone in essere il fenotipo”. Ovvero, lo studio non tanto della struttura dell’informazione, quando del modo in cui questa viene o non viene espressa, del come, del quando e del quanto ciò che sta scritto nella sequenza nucleotidica diventa manifesto nel fenotipo, nella complessità esteriore dell’individuo. I quarantasei cromosomi di ogni cellula umana sono normalmente condensati nel ristrettissimo volume del nucleo cellulare in una struttura più o meno spiralizzata detta cromatina.

Il grado di condensazione di quest’ultima definisce la possibilità o meno di trascrizione, e dunque di espressione genica, regolando, attraverso la propria geometria e disposizione spaziale, l’accesso dei fattori di trascrizione alle sequenze nucleotidiche che fungono da elementi di risposta. Solo se i fattori proteici riescono a raggiungere la sequenza corretta di DNA e ad appaiarsi con essa, avvengono la sintesi di RNA e tutta quella serie di reazioni biochimiche a cascata che dalla traduzione portano alla sintesi proteica e, quindi, all’espressione dell’informazione genica.

L’epigenetica si basa su una serie di codici che permettono di traslare un linguaggio chimico in un altro, che riempiono di significato le coppie nucleotidiche costituenti la molecola di DNA. Tre codici risultano fondamentali nell’interpretazione dell’epigenetica: il codice posizionale o territoriale, ovvero la disposizione preferenziale e non casuale che i cromosomi assumono all’interno del nucleo; il codice nucleosomico, ovvero la posizione e la quantità di nucleosomi (unità cromatiniche di base costituite da un breve tratto di DNA, circa 140-150 coppie di basi, avvolto intorno ad un ottamero di proteine istoniche, a formare le cosiddette “perle” della conformazione tipica a “collana di perle”) rimodellati o meno; e il codice istonico, ossia l’insieme di modificazioni chimiche attuate sugli istoni.

Particolarmente studiata è l’acetilazione, ossia l’aggiunta di un gruppo acetile su specifici amminoacidi delle code istoniche (porzioni delle proteine istoniche non agglomerati nei domini centrali bensì protrudenti all’esterno), che riduce la carica negativa degli istoni, rilassando la cromatina e facilitando l’accesso dei fattori di trascrizione. Altre modifiche di tipo epigenetico sono la metilazione (sia a carico delle code amminoacidiche istoniche sia a carico del DNA), la fosforilazione e l’ubiquitinazione. In generale, la metilazione del DNA a livello del promotore che regola l’attivazione di un gene ne riduce i livelli di trascrizione.

Genetica o epigenetica?

Il complesso di tutte queste alternative conformazioni chimico-fisiche crea un codice informativo che sta “al di sopra” (dal greco ἐπί) della genetica, ovvero che non dipende direttamente dalla sequenza di basi nucleotidiche. Le epimutazioni, ovvero le mutazioni epigenetiche, non sono altro che etichette chimiche apposte da enzimi writers (rimosse da enzimi erasers e interpretate dai cosiddetti readers) sui geni che non ne modificano il significato, bensì ne specificano l’utilizzo e il grado di attività.

Cercando di semplificare il discorso, risulta interessante l’analogia proposta dallo scienziato tedesco Thomas Jenuwein, che paragona la discrepanza tra genetica ed epigenetica alla “differenza che passa fra leggere e scrivere un libro. Una volta scritto il libro il testo (i geni o le informazioni memorizzate nel DNA) sarà identico in tutte le copie distribuite al pubblico. Ogni lettore potrà tuttavia interpretare la trama in modo leggermente diverso, provare emozioni diverse e attendersi sviluppi diversi man mano che affronta i vari capitoli. Analogamente, l’epigenetica permette interpretazioni diverse di un modello fisso (il libro o il codice genetico) e può dare luogo a diverse letture, a seconda delle condizioni variabili con cui il modello viene interrogato“.

O ancor più semplicemente e fascinosamente, come sosteneva la genetista britannica Denise Barlow “l’epigenetica consiste in tutte quelle cose occulte e meravigliose che la genetica non è in grado di spiegare”. Ed è propria quest’ultima definizione che illustrerà la ragione di tutti questi discorsi scientifici e, probabilmente, poco chiari per la necessità ulteriori approfondimenti.

Ambiente ed epigenetica: marcati per la dipendenza e predisposti alla depressione

Dei segnali epigenetici, ciò che oggi affascina la comunità scientifica sono sicuramente la reversibilità e l’ereditabilità, ma soprattutto la diretta connessione con l’esperienza ambientale, che modula i livelli e la natura dei segnali epigenetici stessi. Sorprendente è la stretta relazione che si crea tra chi siamo, l’ambiente in cui viviamo, le sostanze con cui entriamo in contatto e le malattie multifattoriali (quali cancro e disturbi psichiatrici) che ancora non hanno trovato una chiara origine genetica.

La peculiarità di una epimutazione è che essa può avere luogo in risposta a stimoli ambientali esterni che riguardano tanto lo spazio fisico che ci circonda, quanto il nostro stile di vita e il nostro stato di salute. Una modificazione epigenetica può quindi essere intesa come un cambiamento adattativo operato dalle cellule, un sistema di risposta alle situazioni più impegnative e straordinarie, che permette in primis al sistema nervoso di innescare reazioni di risposta positive o negative trasmesse poi a tutto il corpo. Tali reazioni possono essere fisiologiche, come avviene nel caso dei neuroni che adottano meccanismi epigenetici per l’apprendimento e la memoria; ma possono anche essere patologiche, come avviene, ad esempio, nel caso dei disturbi mentali o dei tumori.

Uno dei campi di studio più interessanti dell’epigenetica è sicuramente quello delle malattie mentali. Nuove scoperte suggeriscono un ruolo decisivo delle esperienze nella genesi delle malattie mentali, tramite l’aggiunta o la rimozione di marcatori epigenetici sui cromosomi.

Recenti studi laboratoriali sui topi, condotti al Friedman Brain Institute del Mount Sinai Medical Center di New York, hanno mostrato il ruolo rilevante delle modifiche epigenetiche a lungo termine in disturbi mentali come la dipendenza e la depressione. I risultati di tali studi sono stati pubblicati dal professore di neuroscienze e direttore del suddetto istituto, Eric J. Nestler, sul numero de Le Scienze di febbraio 2012. L’autore spiega come “i disturbi psichiatrici sono il risultato di stimoli ambientali – come l’esposizione a stupefacenti o allo stress – in individui geneticamente predisposti, o addirittura di esperienze casuali”. La natura e l’ambiente convergono sui neuroni umani, tanto a breve termine, stimolando il rilascio di specifici neurotrasmettitori che permettono all’organismo di adattarsi a mutazioni dell’ambiente esterno e che influenzano il comportamento dell’individuo in seguito a particolari esperienze; quanto a lungo termine, facendo entrare in gioco, come credono molti neuroscienziati, l’epigenetica. I processi epigenetici, normalmente vantaggiosi e regolati, possono per così dire entrare in tilt in disturbi come la dipendenza o la depressione, in cui vengono indotti il craving (la voglia irresistibile della sostanza), la frustrazione e un’altra serie di comportamenti anormali.

Lo studio mostra come in topolini a cui per svariato tempo venga somministrata cocaina si attivino, tramite acetilazioni istoniche, all’incirca 100 geni mai attivatisi in precedenza. Tali epimutazioni non fanno altro che predisporre i geni ad attivazioni future, ovvero lasciano la cromatina più rilassata in determinate aree, di modo che anche in seguito ad un periodo di astinenza il centro ipotalamico della ricompensa ricordi la sensazione gratificante provocata dall’assunzione di droga e renda l’individuo più predisposto ad una ricaduta, ad assumere nuovamente la stessa sostanza.

In egual modo, quando le cavie vengono sottoposte ad una frustrazione sociale cronica (quindi esemplari (di topo) maschi docili di topo appaiati a loro simili più aggressivi, costretti a subire una sorta di “bullismo”, che li rende più ansiosi, timidi o obesi), nelle cellule neuronali del loro centro cerebrale della ricompensa si osservano “cambiamenti nella modifica epigenetica di circa 2000 geni”. In particolare, in 1200 di tali geni avviene un aumento della metilazione degli istoni, epimutazione che, condensando la cromatina, reprime l’attività genica. Sembra quindi che la depressione possa disattivare geni importanti che attivano la parte del cervello che permette all’animale di sentirsi bene. Al tempo stesso, risulta interessante notare come gli effetti di tali condizioni sociali non si riflettano su tutti gli esemplari in studio: infatti, alcune cavie sembrano mostrare una sorta di “resilienza”, una capacità attiva di resistere a straniamento ed apatia mostrati dai loro simili più predisposti.

La scoperta suggerisce quindi che ci sia uno schema alternativo di modifiche con un ruolo protettivo e che la resilienza non sia solo un’assenza di vulnerabilità, ma che implichi invece un programma epigenetico attivo per combattere gli effetti dello stress cronico”. Queste ultime parole dell’autore rendono evidente come la scoperta dell’epigenetica e dei suoi meccanismi possa e potrà stravolgere completamente il modo in cui non solo la comunità scientifica ma anche ciascun individuo guarda alla malattia e alle sue cause. Gli studi attuali sui marcatori sembrano aprire una strada alla possibilità di “modificare il proprio destino”, di influenzare ciò che sta scritto nei geni e che per anni si è ritenuto immutabile e definito.

Quali possibilità di modificazione attiva

L’epigenetica getta una luce nuova sulla reversibilità delle modifiche chimico-fisiche che riguardano i nostri geni, e quindi anche sulle manifestazioni fenotipiche di questi ultimi.

L’epigenetica si è fatta strada per spiegare il divario fra natura ed educazione. Oggi cerca di rispondere alle domande su quanto contino, non tanto i nostri geni, bensì, la loro espressione, in funzione delle molteplici stimolazioni, modificazioni e alterazioni indotte dall’ambiente; e su quanto contino inoltre la modifica dei nostri stili di vita, l’alimentazione, l’attività fisica, una terapia piuttosto che un’altra, pensieri, emozioni e sentimenti, nel modulare l’espressione genica. Anche oggi le opinioni su quanto siamo pre-programmati e quanto forgiati dall’ambiente non sono unanimi.

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L’epigenetica assume una sorta di valenza positiva e liberatoria rispetto al determinismo e alla condanna della genetica. In definitiva, sembra suggerirci che non possiamo intervenire sui nostri geni (o almeno non del tutto e non ancora), ma sull’espressione genica, su quella sì. La possibilità che l’ambiente che ci circonda – o semplicemente ciò che ingeriamo o le persone con cui facciamo conoscenza, o l’effetto delle cure materne – possano modificare sensibilmente chi siamo e cosa succederà al nostro cervello e al nostro corpo può apparire destabilizzante e spaventosa, poiché annienta la convinzione che tutto ciò che siamo sia impresso definitivamente nei nostri geni. Tuttavia, tale possibilità può al tempo stesso cambiare il nostro modo di pensare, può incoraggiarci ad agire e responsabilizzarci.

L’autore e scienziato francese Joël de Rosnay, nel suo La sinfonia del vivente. Come l’epigenetica cambierà la vostra vita, sostiene: “L’epigenetica è la modulazione dell’espressione dei nostri geni in base al nostro comportamento, relativamente a cinque elementi costantemente collegati nella nostra vita quotidiana: 1. La nostra dieta, ciò che mangiamo, per nutrire noi stessi e le centinaia di migliaia di miliardi di microbi che costituiscono la maggior parte di ognuno di noi; 2. Attività fisica appropriata; 3. Il nostro modo personale di gestire lo stress (i nostri pensieri influenzano anche l’espressione dei nostri geni); 4 Il piacere che troviamo in ciò che facciamo; 5. Una rete sociale, amichevole e familiare che ci rende felici. Questi cinque elementi sono coordinati in un quadro globale e se ce li giochiamo in modo appropriato e in sinergia, possiamo rimanere in buona salute, riacquistare una salute ottimale ed invecchiare meno rapidamente. L’impatto dei fattori genetici, di questi cinque elementi, modula l’espressione dei geni; per cui sì, c’è qualcosa che puoi fare per te stesso! Quale sinfonia scegli di suonare?”.

Ecco, questa è la grande domanda a cui l’epigenetica ci intima di trovare, innanzitutto, le condizioni di possibilità, le basi di esistenza per porla, e, poi, una risposta.

Teresa Caini

(In copertina “Genetica“)


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