La crisi di governo di questi giorni ci ha dato tanti spunti da analizzare e poche certezze: una di queste è che il governo gialloverde, formato dalla Lega di Matteo Salvini e il Movimento 5 Stelle di Luigi Di Maio, non esiste più.
Questo dato è stato rafforzato dal discorso di martedì dell’ex premier Giuseppe Conte al Senato, dove ha apertamente accusato il Ministro dell’Interno (ancora per quanto non si sa), di pensare ai sondaggi elettorali e non agli italiani, come tanto da lui decantato nelle sue dirette social e nei suoi comizi. Insomma, un discorso alquanto velenoso che lascia intendere come questo matrimonio fosse forzato e come, negli ultimi tempi, fosse diventato insostenibile.
E se da una parte le parole dell’ex presidente del Consiglio trovano riscontro nei fatti (la Lega, fino a dieci giorni fa, godeva del 38% dei consensi nei sondaggi, che lasciano intendere come Salvini avesse tutte le ragioni per staccare la spina per puro egoismo), dall’altra parte cozzano con la grande contraddizione di aver governato per quattordici mesi con un partito e un ministro che ha sempre avuto in mano il pallino della situazione (basti pensare ai due decreti sicurezza e al salvataggio dello stesso M5S nei confronti di Salvini in Commissione Giustizia al Senato sul caso Diciotti).
Tutto questo lascia aperta una domanda: come mai ci si è accorti solo ora, all’interno del Movimento, che Salvini avrebbe fatto di tutto per togliere consensi all’alleato di governo? È stata veramente pura ingenuità da parte dei grillini o è stata una convenienza per poterlo mettere all’angolo alla prima occasione utile? Apparentemente, si potrebbe tendere alla seconda opzione. Ma non bisogna dimenticare che, alle Elezioni Europee dello scorso 26 maggio, il partito della Casaleggio Associati e di Grillo ha visto dimezzare i propri consensi rispetto alle politiche, con un calo vertiginoso dal 33 al 17%. Al contrario, la Lega ha invece visto raddoppiare i propri consensi durante le stesse elezioni, passando dal 17 al 34%.
Se da una parte questi numeri dovrebbero mettere spavento, dall’altra parte va ricordato che nelle elezioni politiche il Movimento 5 Stelle ha preso il 33% dei consensi, attestandosi come partito di maggioranza relativa, di cui tuttora gode, mentre la Lega era arrivata terza con il 17,4%, dietro persino al Partito Democratico che, nonostante il suo minimo storico, dovuto anche alle divisioni interne, si era attestato sul 19%.
Un Partito Democratico che, oltretutto, era ulteriormente cresciuto alle Europee, dove aveva guadagnato quasi quattro punti ed era arrivato al 23% dei consensi, spinti anche dalla speranza di cambiamento portata dall’elezione di Nicola Zingaretti come segretario nazionale, direttamente dopo Matteo Renzi, che aveva creduto di poter arrivare indenne al sole – come consensi e referendum costituzionale – e poi si era bruciato come Icaro.
Lo stesso Salvini però ha fatto i conti senza l’oste, basandosi su numeri statistici che non sempre corrispondono alla realtà. Forse a causa dei balli provocanti delle cubiste del Papeete Beach di Milano Marittima, suo abituale luogo di villeggiatura estiva, (con tanto di remake dell’inno di Mameli da disc jockey improvvisato e altri comportamenti che non sono stati riportati ma che, vista la presenza delle avvenenti ballerine, desterebbero qualche sospetto), si è fatto trascinare dall’istinto e dalla certezza che potesse governare da solo, senza dare adito al fatto che ci fosse un Parlamento e, soprattutto, un Presidente della Repubblica da consultare.
Questo tentativo di colpo di mano da parte del capo del Viminale lo ha portato all’isolamento. Infatti, nonostante il consenso sia ancora ampio (attualmente Salvini ha il 31,3%, stando ai sondaggi), con il passare del tempo diminuisce a vista d’occhio (ha perso tre punti rispetto alle Europee e addirittura sette rispetto ai sondaggi di dieci giorni fa), e il Capitano fa sempre più fatica a cercare una contromisura alla crisi aperta da egli stesso su una battaglia, come quella spinosa della TAV, oltretutto vinta.
E mentre ci si interroga sul come e se potrà nascere un governo a guida giallorossa tra PD ed M5S, di una cosa si può stare certi: Salvini e Di Maio, dal 9 agosto scorso, potranno dire che si sono tanto amati, che l’uno ha pensato tanto all’altro e che, a volte, ancora si pensano, nella misura in cui hanno promesso a loro stessi di non commettere più l’errore di sposarsi senza conoscersi. Perché questo matrimonio, come direbbe Manzoni, “non s’ha da fare, né domani né mai”. In questo caso, si potrebbe dire che non è più da rifare. E forse, per una volta, bisognerebbe ascoltare l’autore de I promessi sposi, perché nei suoi romanzi e nella sua poetica considerava la verità storica come l’unica fonte di salvezza dell’uomo.
Una verità storica che, però, non ha risparmiato i due leader di un governo fragile e che, dopo quattordici mesi, ha presentato il conto con la sua superbia. Due leader che oggi dicono non senza rancore“c’eravamo tanto amati”.
Gianluca Dozza