Da quando la Terra si è formata, le epoche geologiche si sono susseguite lente, spezzate di tanto in tanto da glaciazioni o estinzioni di massa. Questo fino alla più recente di esse, l’Olocene, iniziata 11.000 anni fa, che potrebbe essere stata terminata non da un fenomeno naturale, ma dagli esseri umani, dando così inizio ad una nuova epoca che prende il nome di Antropocene. Questo termine è stato coniato nel 2000 dal premio Nobel per la chimica Paul J. Crutzen, per indicare l’entrata in scena di un’epoca resa instabile dall’uomo. Ma questa come è cominciata? Quando l’umanità è diventata così influente da marchiare la storia del pianeta col proprio nome?
Durante la Rivoluzione Industriale, nel XIX secolo, i livelli di anidride carbonica nell’atmosfera si sono innalzati di molto a causa dell’utilizzo del carbone come combustibile, subendo poi un ulteriore aumento a metà del XX secolo, quando si iniziarono ad usare petrolio e metano. Questo stesso periodo è chiamato “Grande Accelerazione”: una improvvisa e rapida evoluzione di tutti i settori tecnologici e industriali, che coincide anche, nel 1945 con l’inizio degli esperimenti nucleari. Inoltre ci fu un notevole incremento della popolazione, che tra il 1900 e il 2000 è passata da 1,5 a 6,1 miliardi.
Ne risultò che a fine secolo i livelli di CO2 erano di un terzo più alti rispetto alla pre-industrializzazione, 500 miliardi di tonnellate di cemento avevano snaturato il paesaggio, microplastiche e pesticidi avevano contaminato le acque di fiumi e oceani e numerose specie animali si erano irrimediabilmente estinte. Queste alterazioni sempre più evidenti influenzeranno il futuro del pianeta per moltissimi anni a venire, e differenziano così tanto gli ultimi secoli da quelli passati, che potrebbero comportare l’inizio dell’Antropocene.
L’inizio di una nuova epoca geologica si determina identificando un marker stratigrafico primario, cioè un cambiamento significativo negli strati di roccia, come la comparsa di una specie fossile o di mutazioni geochimiche. Un buon candidato per l’Antropocene sembra essere il forte aumento di plutonio ed altri elementi radioattivi, accompagnato dalla diminuzione di rapporti stabili fra gli isotopi del carbonio, tra il 1952 e il 1954 a causa dell’utilizzo di combustibili fossili e fertilizzanti. Bisogna definire anche alcuni marker secondari, che marchino il confine di strato qualora il marker primario fosse assente. Questi segnali si manifestano nel rimodellamento del territorio, nella diffusione di tecnofossili e nell’estinzione di molte specie animali.
Rimodellamento del territorio:
- Una megalopoli in crescita può essere considerata come un enorme strato urbano, composto tanto dagli edifici quanto da una complessa rete di tubature e cavi sotterranea, con tutti i prodotti di scarto che si accumulano nelle discariche cittadine, spesso profonde decine di metri, come quella di Dandora, in Kenya. Nonostante sia stata dismessa nel 2012, questa discarica è ancora in uso e si è calcolato che nel 2015 contenesse cinque miliardi di tonnellate di plastica, sufficienti ad avvolgere l’intero pianeta.
- Anche le operazioni estrattive hanno un forte impatto sul territorio, perché richiedono l’utilizzo di molta acqua. Per esempio, nei pozzi di petrolio e gas naturale vengono pompati litri e litri di acqua nelle profondità del terreno per creare delle fratture nella roccia e favorire il flusso di queste risorse. Tale processo, detto fracking, richiede circa 19 milioni di litri di acqua per pozzo, e non solo modifica irrimediabilmente la conformazione del territorio, ma rischia di contaminare molte falde acquifere.
- Nelle miniere di carbone, come quella di Hambach in Germania, per raggiungere il materiale da estrarre, bisogna asportare enormi quantità di terra, poi accumulate in montagne artificiali. Questo si può fare grazie ad enormi macchine escavatrici, i Bagger 291 e 293, lunghe 22 metri e alte quasi 100, che possono rimuovere in un anno tra i 220 e i 250 milioni di metri cubi di terra. Da quando la miniera è stata aperta, nel 1978, quattro villaggi sono stati trasferiti a causa del suo ingrandimento, ed è rimasto solo il 10 % dei settanta chilometri quadrati della foresta di Hambach.
Diffusione di tecnofossili: I tecnofossili sono materiali artificiali molto resistenti, che si decompongono assai lentamente: quindi è verosimile che andranno ad accumularsi negli strati di roccia come fossili.
- Il principale tecnofossile è senza dubbio la plastica, comparsa tra il 1861 e il 1862 quando l’inglese Alexander Parkes brevettò il primo materiale semi-sintetico, la Xylonite, ricavata dalla cellulosa. Il petrolio sostituì questa fibra naturale solo negli anni ‘30 . La somma di tutta la produzione mondiale di plastica fino al 2015 ammonta a 8 miliardi e 300 milioni di tonnellate, di cui 2 miliardi sono ancora in uso, e 6,3 miliardi sono diventati rifiuti. Di questi scarti ben il 79% è andato disperso nell’ambiente marino e terrestre.
- Anche il cemento è un’importante tecnofossile, inventato dai Romani, a metà del XX secolo è diventato il principale materiale da costruzione in tutto il mondo, e da allora fino ad oggi è stato colato tanto cemento quanto ne servirebbe per ricoprire l’intero pianeta sotto una coltre spessa due millimetri. Più della metà di questo volume è stata prodotta tra il 1995 e il 2015, a causa dei processi di urbanizzazione.
- Oltre a tutto questo, concentrazioni di metalli pesanti, ceneri volanti e pesticidi si accumulano negli strati di ghiaccio polare, diventando rilevanti tracce fossili allo stesso modo.
Estinzione di specie animali: Molte epoche geologiche si sono concluse con un’estinzione di massa, fra queste la più famosa è avvenuta alla fine del Cretaceo, a causa di un asteroide. Negli ultimi 500 anni si è registrato un forte aumento di specie estinte, tale da poter potenzialmente condurre ad una nuova estinzione di massa.
- Il dodo è diventato il simbolo delle specie perseguitate dall’uomo, l’ultimo esemplare è stato visto nel 1662, ma non è certo il solo ad essere scomparso.
- Il quagga, una sottospecie della zebra che abitava le pianure del Sudafrica, è stato cacciato per così tanto tempo da essere dichiarato estinto nel 1878.
- la tigre di Giava, scomparsa nel 1979, è stata vittima del disboscamento, che ha completamente distrutto il suo habitat.
- Il lipote, un cetaceo che abitava il fiume Azzurro in Cina, è andato incontro alla stessa fine nel 2009, a causa dell’inquinamento delle acque.
- L’ultimo maschio di rinoceronte bianco è morto nel 2018, rimangono solo due femmine, e anche se per ora questa è l’unica razza di rinoceronte davvero destinata a scomparire, anche le altre quattro specie sono state spinte sull’orlo dell’estinzione dalla caccia intensiva.
Non solo gli animali, ma interi ecosistemi sono stati spazzati via. La Grande Barriera Corallina in Australia è stata dichiarata morta nel 2017, per via dello sbiancamento dei coralli, un fenomeno però non circoscritto solo al Big Reef, ma che affligge molte delle coste in tutto il mondo. L’aumento della temperatura e dell’acidificazione dei mari infatti, uccide un microrganismo che vive in simbiosi col polipo del corallo, senza il quale il celenterato non può nutrirsi.
Sebbene al Congresso Mondiale di Geologia del 2016 la teoria dell’Antropocene di Crutzen sia stata accettata, ponendo il limite inferiore in coincidenza con la Grande Accelerazione, non siamo ancora del tutto sicuri di poter dare ufficialmente il benvenuto a questa nuova epoca geologica: le prove che abbiamo sembrano sostenere le nostre ipotesi, ma solo il futuro potrà darci risposte certe.
I cambiamenti che stiamo provocando però, condizioneranno sempre di più le nostre vite: nel 2013 i livelli atmosferici di CO2 hanno toccato le 400 ppm (parti per milione), ma fino ad allora si erano sempre mantenuti tra le 200-280 ppm; inoltre l’umanità usa quasi 60 miliardi di tonnellate di materiale terrestre all’anno. Il livello del mare si alzerà di alcuni metri, entro il 2100 le temperature aumenteranno dai 3,3 ai 5,4 gradi in tutto il mondo, e molte delle nostre risorse col tempo si esauriranno. Dove scapperemo, se le città costiere dovessero venire sommerse? Come ci difenderemo dalle estati sempre più aride e afose? Cosa faremo quando l’era che porta il nostro nome ci svelerà il suo volto più tremendo?
Anna Passanese
(in copertina la miniera di Hambach, in Germania, foto tratta dalla mostra “Antropocene”)
Molte delle informazioni presenti in questo articolo provengono dalla mostra fotografica “Antropocene” di Bologna, promossa dagli artisti e registi Edward Burtynsky, Jennifer Baichwal e Nicholas de Piercer. La collezione è volta a mostrare, con meravigliose immagini ed installazioni, le conseguenze delle attività umane sul nostro pianeta, e a sensibilizzare le persone riguardo queste importanti problematiche.