
Agosto 1969 – agosto 2019. Quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario di Woodstock, la Fiera della Musica e delle Arti tenutasi per tre giorni di fila a Bethel, una piccola città rurale dello stato di New York.
L’iniziativa nacque nel 1969 dall’annuncio, da parte di John P. Roberts e Joel Rosenman, di una “Challenge International, Ltd.“. Due giovani uomini con capitale illimitato andavano alla ricerca di interessanti opportunità di investimento e proposte d’affari. A quel punto intervennero Michael Lang e Artie Kornfeld che, ispirati dall’imperdibile proposta, videro la possibilità di creare qualcosa di nuovo e quanto mai sensazionale.
I quattro progettarono un festival musicale e artistico che nasceva come pura iniziativa commerciale, chiamandola appunto “Woodstock Ventures“, in vista dei guadagni che avrebbe comportato. Tuttavia ben presto si resero conto che stavano attirando centinaia di migliaia di persone in più del previsto (più di 400.000 giovani) e a quel punto il festival divenne una manifestazione a ingresso libero. Si esibirono in quell’occasione trentadue musicisti e gruppi fra i più noti dell’epoca e il festival ebbe un’enorme carica simbolica la cui notorietà continua ancora oggi. A quell’evento si deve la celebre espressione Three Days of Peace & Rock Music proprio perché divenne un simbolo della storia del rock e del costume, dall’aria allegra e utopistica tipica della cultura hippie e dei suoi figli dei fiori. Woodstock fu lo specchio della mentalità di allora, incredibilmente viva e rivoluzionaria, nuova perché giovani erano le menti e ambiziosi i loro orizzonti.
Rappresentò un atto di cambiamento sociale e di attivismo; non solo di divertimento ma anche di senso di comunità in grado di fornire un’energia per i più giovani affinché fossero spinti a far sentire la loro voce e a far contare i loro voti. E contrariamente a quanto un’atmosfera del genere possa indurre a pensare si trattò di un evento estremamente pacifico e in questo sono fondamentali le testimoniante di Bernard Collier e Max Yasgur. Il primo fu l’unico cronista presente nel primo giorno e mezzo del festival e ricordò che ogni redattore insisteva affinché il tono del reportage indicasse una catastrofe sociale in corso.
“Era difficile persuaderli che la mancanza di incidenti seri e l’affascinante cooperazione, premura e correttezza di così tante persone era il punto significativo. Ho dovuto rifiutarmi di scrivere quella storia se non avesse potuto riflettere la mia convinzione di testimone oculare che «pace e amore» era la cosa davvero importante. Non le opinioni preconcette dei giornalisti di Manhattan. […] Dopo che la descrizione della prima giornata comparve sulla prima pagina del New York Times, molti riconobbero che «caso sorprendente e bello stesse avvenendo»“.
Yasgur, invece, era un uomo che aveva offerto il suo terreno per la realizzazione dell’evento e fu incredibilmente stupito di come “mezzo milione di persone, in una situazione che avrebbe permesso risse e saccheggi, avessero creato realmente una comunità motivata dagli ideali di pace e amore”. Se questi furono i suoi tratti, di cosa si faceva portavoce il Woodstock ’69? Quali erano gli ideali che lo avevano ispirato?

1968: Una rivoluzione a partire dalla cultura
Furono alcune situazioni createsi negli anni Sessanta a preparare il ’68 e tra queste il boom demografico annesso al boom economico, figlio dell’espansione edilizia e della diffusione del pagamento dilazionato (la cambiale) che consentì la vendita sterminata di merci, case, automobili ed elettrodomestici. Il PIL crebbe inevitabilmente e questa ventata di benessere ebbe come diretta conseguenza la diffusa scolarizzazione di tutta la baby boom generation degli anni 50. Le strutture della scuola pubblica ideata da Gentile e dell’università scricchiolarono sotto il peso di una traboccante umanità in cerca di istruzione e cultura (fino ad allora riservate a una ristretta élite) e si trasformarono nel principale strumento di mobilità sociale e professionale di una generazione che ambiva ad un futuro migliore di quello dei propri genitori.
Non fu un caso che le università del sud degli Stati Uniti furono popolate da oltre 98.000 studenti afro-americani di contro ai precedenti 3.000; la stessa situazione si creò in molti altri paesi non europei da poco diventati indipendenti e alle prese con ambiziosi progetti di crescita. La risposta da parte dei governi tuttavia non fu felice e forme di autoritarismo e dogmatismo non fecero altro che provocare una simultanea ondata di agitazioni studentesche e giovanili senza precedenti per dimensioni e di scala globale. I motivi dei turbamenti inizialmente erano i più diversi: il riscaldamento mancante nei dormitori a Praga; la loro apertura alle studentesse a Parigi e New York; la presenza dell’esercito alla Universidad Nacional Autonoma de Mexico ma gli scontri che ne seguirono con le forze di polizia incaricate di ristabilire l’ordine indirizzarono la protesta in senso politico più in generale. L’esplosione del ‘68, infatti, ebbe un carattere vario e composito, fatto di fantasia e ideologia, di energia giovanile e di illusioni, di impegno e di musica, di banalità e di fatti clamorosi.
Fu una lunga (1968-1977) rivoluzione culturale che ha segnato nel mondo, e in particolare in Italia, una stagione di riforme istituzionali, di conquiste salariali, di rivalutazione di importanti componenti sociali (quali donne, bambini, giovani, anziani) e di profonde mutazioni nella mentalità collettiva e nei rapporti interpersonali. Per la prima volta, ad esempio, emerse l’idea che la crescita economica potesse avere dei limiti posti dall’esaurimento delle risorse naturali del pianeta.
A partire dal 1968, infatti, troviamo il primo libro che lancia l’allarme sulla crescita demografica del pianeta; il primo Earth Day organizzato su scala mondiale per denunciare i rischi dell’inquinamento ambientale. Agli stessi anni si deve lo Statuto dei Lavoratori a cui vanno sommate tutte le iniziative che segnarono un punto di svolta nella condizione delle donne e nella loro collocazione nella società. Già dopo la Grande Guerra il loro potenziale ruolo pubblico era apparso evidente e il diritto di voto parve il compenso più adeguato per la loro mobilitazione bellica, quando furono impegnate a sostituire gli uomini nella produzione e nella burocrazia. A metà degli anni 60 il voto alle donne era diventato la norma in tutti i continenti con poche eccezioni. Negli anni 70 poi, con l’introduzione de concetto di differenza sessuale, l’identità individuale e collettiva delle donne acquisì libertà e autonomia e fu dato avvio a tutta una serie di riforme altrimenti impossibili in condizioni differenti. In Italia, ad esempio, nel 1970 vennero introdotti il matrimonio civile e il divorzio, confermato dal referendum quattro anni dopo; nel 1975 una riforma del diritto di famiglia sancì l’uguaglianza fra i coniugi e furono istituiti consultori familiari; nel 1977 una legge affermò la parità di trattamento normativo e salariale fra uomini e donne in campo lavorativo; nel 1978 fu approvata la legalizzazione dell’aborto ratificata da un referendum tre anni dopo. In Occidente le rivendicazioni studentesche ebbero un carattere libertario, che si esplicò nella richiesta di luoghi in cui discutere assieme e nel rifiuto delle gerarchie, dell’autoritarismo e del puritanesimo della società adulta.
La spinta libertaria travolse ogni aspetto della società: dagli studi di Piaget sulla psicologia infantile si passò alle geniali denunce di don Milani; la musica rock (profondamente rinnovata soprattutto dai complessi inglesi dei Beatles e dei Rolling Stones e dal folksinger statunitense Bob Dylan) fu il veicolo di un’aspirazione al cambiamento che divenne visibile anche nella vita quotidiana. Mary Quant inventò la minigonna, si imposero come modello culturale i blue jeans, i giovani scoprirono la libertà sessuale, cominciarono ad amare la trasgressione e si fecero crescere i capelli e il tutto assurse a emblema sovranazionale della gioventù di tutto il mondo sviluppato. Ai Beatles venne dato l’ostracismo televisivo mentre in Italia e in tutto il mondo migliaia di giovani formarono band e gruppi musicali, inventarono un loro linguaggio rinunciando a imitare quello degli adulti. Appare evidente come nella rivoluzione giovanile e studentesca confluirono, in modo significativo, fermenti di rivolta musicale, che culminarono nel raduno di Woodstock.
Un vento libertario ispirò anche il movimento dei Provos (provocatori) olandesi, che diffusero l’uso della bicicletta, rigorosamente bianca, e ideali sociali non eversivi da un punto di vista politico, ma rivoluzionari sul piano del costume. Questi assieme ai figli dei fiori proposero valori comunitari, si opposero all’ortodossia politica e sociale scegliendo una mite e non dottrinaria ideologia che favoriva la pace, l’amore, la fratellanza e la libertà personale, esplicitata al meglio dai Beatles nella celebre canzone All you need is love. Essi abbracciarono la rivoluzione sessuale e l’uso di stupefacenti al fine di esplorare e allargare il loro stato di coscienza e sostenevano l’emancipazione dall’etica familiare in favore della solidarietà di gruppo giovanile.
Tra le ideologie più pervasive del Sessantotto vi fu quella del “terzomondismo” nutrito del sostegno ai popoli asiatici, africani e latinoamericani contro l’imperialismo delle due superpotenze di allora (Stati Uniti e Unione Sovietica) e negli Stati Uniti vi furono lotte contro la segregazione razziale. Nel gennaio 1968 mentre gli studenti giapponesi manifestavano contro le basi militari statunitensi presenti nel loro paese, quelli di Varsavia protestarono contro la censura del regime comunista. A marzo gli studenti polacchi si scontravano con la polizia e quelli cecoslovacchi partecipavano in prima fila alla “primavera di Praga”. In aprile l’assassinio di Martin Luther King scatenò una violenta ribellione nei ghetti di oltre 100 città degli Stati Uniti. A maggio la polizia irruppe nelle aule della Sorbona e il rettore ne proclamò la chiusura e vi furono ripetuti scontri tra studenti e polizia che sconvolsero il centro di Parigi per più giorni.
Gli slogan del “maggio francese” fecero il giro del mondo: “tutto è possibile”, “vietato vietare”, “l’immaginazione al potere”, “siate realisti, chiedete l’impossibile” esprimevano un’utopia venata di anarchismo non traducibili in risultati politici concreti. Il Sessantotto, infatti, non ebbe rivendicazioni negoziabili e nell’immediato non produsse effetti tangibili in termini di riforme degli ordinamenti scolastici e delle istituzioni. Dappertutto il movimento andò incontro a un graduale riflusso e venne sconfitto, ma la tempesta non passò senza conseguenze.
L’antiautoritarismo che era stato l’ispirazione di fondo e il tratto unificante della rivolta giovanile diede una forte spinta alla liberalizzazione dei rapporti di potere all’interno delle istituzioni e delle famiglie, all’affermazione dei diritti civili e umani, all’accettazione delle differenze (di razza, di nazionalità, di genere…). L’aspirazione a vivere in un mondo pacificato e sereno, il bisogno di superare la terribile disparità nella distribuzione delle ricchezze, la prospettiva di una soluzione globale per i problemi del mondo, si presentarono sempre più chiaramente come esigenze attuali e vive e ne derivò una tendenza alla democratizzazione della società che in forme e in tempi diversi fece sentire i suoi effetti sia sulle democrazie parlamentari dell’occidente, sia sulle dittature militari dell’Europa meridionale e dell’America latina, sia sui regimi comunisti.

2019: Woodstock cinquant’anni dopo
In occasione del cinquantesimo anniversario dal grande Woodstock ’69, lo stato di New York avrebbe dovuto ospitare un rinnovato festival nei giorni 16, 17 e 18 agosto. Tuttavia l’evento è stato definitivamente cancellato a causa di grandi problemi organizzativi e dell’abbandono del progetto da parte di molti degli artisti coinvolti.
La celebrazione di questo anniversario doveva avere l’obiettivo di recuperare la valenza sociale, l’impegno politico e il senso comunitario e pacifico che caratterizzarono l’originario Woodstock ’69. Il Festival, portatore di solidi ideali che hanno segnato la storia mondiale, doveva riproporsi come un momento di coinvolgimento sociale in cui si potesse realizzare solidarietà e comunità di intenti verso il nostro pianeta, profondamente provato dagli sfruttamenti e dalla nostra indifferenza.
Il cofondatore Michael Lang aveva rilasciato a inizio anno un’intervista in cui sottolineava l’importanza al giorno d’oggi di sposare una giusta causa, progettava per questo evento il coinvolgimento di diverse ONG che combattono i cambiamenti climatici affinché tutti potessero riconoscere il proprio compito e si sentissero coinvolti in un progetto di portata mondiale per il bene di tutta l’umanità. Woodstock sarebbe dovuto essere un rinnovato inno alla pace, alla musica, all’amore per l’altro e per l’ambiente. Questo annullamento non è forse un lontano sintomo di una defezione? Di una paurosa sfiducia, di un mancato interesse nel difendere un principio di solidarietà e coesione?
Sara Carenza
(In copertina e nel testo foto tratte da Woodstock ’69)