Politica

Crisi di governo – Lo scontro è inevitabile

Crisi di governo

È noto a tutti che la politica italiana sia caratterizzata da tradizioni, di variabile antichità e generalmente poco considerate dal grande pubblico, a cui la stirpe dei politici si piega invece ossequiosamente, concorde nel ritenere le suddette tradizioni necessarie, se non fondamentali, al sano funzionamento del nostro problematico Stato.

L’attuale esecutivo, che ha voluto ripetutamente presentarsi come l’antitesi a queste arcane strutture, sembra aver finalmente trovato il coraggio di infrangerne una, anziché farsene servo (come ha fatto con tutte le altre tradizioni, in primis il farsi corrompere da potenze straniere). Nel dettaglio, ieri sera, verso le 19.00, il Ministro dell’Interno e Vicepremier Matteo Salvini ha spezzato la consuetudine che vedeva le crisi di governo, eventi praticamente all’ordine del giorno in Italia, verificarsi quando il nostro Parlamento non si trovasse in vacanza. Sulla saggezza e acume di questa mossa si discuterà più avanti.

La mozione di sfiducia

La “crisi” in questione consiste in una mozione di sfiducia al Governo congiunto gialloverde presieduto da Giuseppe Conte, da molti ritenuto un mero burattino dei cosiddetti “vicepremier” Salvini e Di Maio: il suddetto governo, persa la fiducia del partito al governo, non può dunque restare in carica e deve dare le dimissioni, spalancando le porte all’incubo burocratico delle elezioni anticipate.

Prima che ciò accada, tuttavia, è necessario che la mozione di sfiducia sia messa ai voti nell’Aula del Parlamento in cui è stata avanzata, che in questo caso è il Senato. Salvini ha delineato così il suo piano per la capitolazione del governo: il 12 vi sarà la conferenza dei capigruppo presso il Senato, che decideranno la data di convocazione dello stesso, entro e non oltre il 20 agosto la mozione sarà messa ai voti ed approvata, sbloccando così l’iter che entro due mesi dovrebbe portare di nuovo gli italiani alle urne elettorali.

Ad ostacolare questo percorso vi sono numerosi fattori, che molto probabilmente la Lega ha tenuto in considerazione e ha deciso di ignorare, per finalità di cui discorreremo in seguito. Prima fra tutte le problematiche è il fatto che la mozione sia stata presentata durante la chiusura delle camere per la pausa estiva, con le conseguenti enormi difficoltà nel reperire i nostri senatori, dispersi per il mondo a godersi le vacanze, soprattutto i capigruppo che dovrebbero riunirsi per fare in modo che sia anche solo autorizzata la sessione straordinaria necessaria a far passare la sfiducia.

Il regolamento prevede una circostanza simile e autorizza il presidente del Senato, nel nostro caso l’onorevole Elisabetta Casellati, a contattare telefonicamente o tramite telegramma (che verrebbe addirittura messo sotto scorta della Polizia nel suo percorso per raggiungere il parlamentare di turno) i membri della sua camera. La presidentessa sembra aver optato per una convocazione materiale, “a tu per tu”, fissata per il 12 di questo mese, rispetto ad una consultazione telefonica.

Verso la crisi di governo

In generale, oltre alla vicinanza fra la data sopra citata e quella deputata alla votazione della sfiducia (il 20 di agosto), che chiunque si intenda un minimo di politica italiana è ben consapevole sia destinata soltanto a dilatarsi, vi è un ulteriore ostacolo al piano di Salvini: Luigi Di Maio, ex-alleato e ora nella spiacevole posizione di moglie ripudiata (parole, quasi testuali, del Ministro dell’Interno, che ha descritto come una relazione finita male l’alleanza di governo).

Il leader del Movimento 5 Stelle, partito di maggioranza alle scorse elezioni, è da alcuni giorni particolarmente inviperito dai contrasti emersi fra le due anime del governo, in primo luogo lo scontro avvenuto sulla mozione a sfavore della TAV (fermare la grande opera era uno dei principali obiettivi politici dei M5S), in cui la Lega ha votato a favore insieme all’opposizione Dem.

È chiaro che si sia trattato del casus belli che Salvini cercava per porre un brusca fine all’alleanza, e di certo non è stato casuale: il Ministro dell’Interno, già con la mente alla futura campagna elettorale, nel momento in cui ha decretato l’alleanza gialloverde superflua e controproducente ai suoi scopi, ritenendosi in grado di portare il suo partito alla maggioranza di governo autonomamente, si è subito mobilitato e ha teso una trappola ai suoi co-governanti.

La sua manovra agisce su due piani, sfruttando da un lato la lentezza della burocrazia per potersi ancora una volta dipingere come la parte desiderosa di cambiamento, osteggiata dall’establishment, dall’altro incastrando i Cinque Stelle come i colpevoli della rottura: “Inutile andare avanti a colpi di NO (sic!) e di litigi, come nelle ultime settimane, gli italiani hanno bisogno di certezze e di un governo che faccia, non di Signor No”, scrive Salvini in un comunicato.

La parola a Di Maio

Nella giornata di ieri, dopo l’arrivo della nota di sfiducia a Palazzo Chigi, Di Maio ha attivato le sue misure di contingenza per cercare di salvare la faccia e disimpegnarsi dalla morsa politica di Salvini. Il leader del M5S in primo luogo ha messo a tacere le voci che suggerivano un imminente asse fra i pentastellati e il PD, bollandole come “fake news”, arrivando a nominare nel comunicato persino Soros (celebre bersaglio dei complottisti); e poi, forte della sua posizione di potere – che a breve dovrà lasciare se vuole ricandidarsi – ha imposto una condizione sul suo divorzio con la Lega: prima che si voti la mozione di sfiducia, si deve procedere con l’approvazione o meno dell’importante riforma sui parlamentari, fissata a settembre in concomitanza con la normale riapertura delle camere.

Ovviamente la drastica riduzione dell’organico parlamentari, che entrerebbe in vigore dalle elezioni successive, che con la mozione di sfiducia in campo sono quelle anticipate, è fortemente voluta da una maggioranza degli italiani, ma porterebbe a un notevole rallentamento dell’iter per le elezioni stesse, cosa che non piace a Salvini, il quale ha stroncato la proposta e affermando: “Se passa questa legge non si va più a votare, tanta gente che non ha paura di essere rieletta userà nei prossimi giorni qualsiasi mezzo per mantenersi la poltrona ancora a lungo. Tempo scaduto”.

Iacopo Brini

Sull'autore

Classe 2003, mi sono trasferito da Bologna a Milano per studiare Legge e soprattutto per sfuggire alle ire dei caporedattori dopo aver sforato una scadenza di troppo. Mi appassiono facilmente degli argomenti più disparati, invento alfabeti nel tempo libero e ho la strana abitudine di presentarmi in giacca e cravatta anche ai pranzi con gli amici.
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