
Le parole sono terribili armi a doppio taglio. Sono capaci di toccare in profondità l’animo dell’uomo, portando alla gioia, all’estasi e alla commozione; ma, proprio in virtù di questa potenza, una sola sillaba è capace di precipitare nel panico, di suscitare rabbia o odio. In questo nuovo articolo sulle fake news nel corso della storia, si analizzerà un falso storico che, meglio di altri, mostra l’estrema ambiguità del linguaggio e la sua attitudine a subire interpolazioni faziose: il dispaccio di Ems.
Al centro di questo intrigo diplomatico si trova la figura di Otto Von Bismarck, primo ministro di Prussia dal 1862 al 1890. Egli, in concerto con le cariche più alte dello Stato, alterò e diffuse il contenuto di un carteggio diplomatico, trasformando una risposta irritata, ma cortese, in un perentorio rifiuto. Questo evento fu il casus belli, la ragione che spinse la Francia, pochi giorni dopo, a dichiarare guerra alla Confederazione Tedesca del Nord. In altre parole, una menzogna fu in grado di suscitare il conflitto franco-prussiano (1870-1871), portando alla morte di oltre 200.000 soldati.
Prima di concentrarsi sul documento, però, è necessario definire il contesto storico in cui questa catena di eventi, funesta e precipitosa, si verificò.
Una contesa lunga tre secoli
La rivalità storica tra Francia e Germania, sin dal XVII secolo, si è incentrata sul possesso di alcune regioni di confine, prosperose per i commerci, ricche di risorse minerarie e fertili: l’Alsazia, la Lorena e i territori corrispondenti all’attuale BeNeLux. Chi avrebbe controllato i traffici di queste aree, si sarebbe imposto ben presto come la potenza egemone sulla parte continentale dell’Europa.
Se ai tempi della Guerra dei Trent’anni (1618-1648) e, successivamente, di Luigi XIV (1638-1715), il regno francese aveva acquistato a caro prezzo il predominio sull’Europa, nel corso del Settecento un’altra potenza aveva fatto la comparsa sul palcoscenico degli intrighi di corte: la Prussia. Questo Stato, caratterizzato da una fiorente attività di ricerca e dalla militarizzazione del cittadino, dapprima assoggettò le centinaia di realtà che il vecchio impero asburgico non aveva saputo ricondurre all’obbedienza, e poi, nell’Ottocento, diede il via a un grande progetto di unificazione nazionale.
Dopo la Guerra delle sette settimane (1866) la maggior parte degli Stati tedeschi, riunitisi nella Confederazione Tedesca del Nord, reclamò un ruolo più adeguato all’interno del panorama politico europeo. La Francia allora, spaventata dalla nascente coalizione guidata dal Kaiser Guglielmo I (1797-1888), tentò di intavolare trattative diplomatiche con la Prussia e l’Olanda per assicurarsi il predominio sulle zone di confine.
Quando però, nei primi mesi del 1867, il re d’Olanda, che in un primo momento aveva acconsentito alla richiesta francese di annessione del Lussemburgo, sostenne di dover prima ottenere il beneplacito prussiano, si originò una crisi diplomatica, nota col nome di crisi lussemburghese. Le acque si calmarono solo a maggio dello stesso anno, quando la Conferenza di Londra stabilì che i territori oggetto della contesa dovevano considerarsi indipendenti e neutrali.
Nonostante l’apparente pacificazione, da ambedue gli schieramenti si levavano a gran voce grida di guerra, sostenute dalle falangi nazionaliste della popolazione. E Bismarck, che pure durante questa prima crisi cercò una soluzione pacifica con la Francia, era ben consapevole dell’avvicinarsi di un conflitto:
Non avevo dubbi che, prima della realizzazione di una Germania unita, avremmo dovuto condurre una guerra franco-tedesca.
I tempi si fecero maturi nel 1868, quando scoppiò la cosiddetta crisi spagnola.
Il pretendente scomodo
Isabella II Borbone, regina di Spagna, venne esiliata dal paese nel settembre 1868, in occasione della Gloriosa Rivoluzione. Il governo provvisorio spagnolo, trovandosi in condizioni analoghe a quelle affrontate pochi anni prima dal Messico, si mise alla ricerca di un nobile europeo da far sedere sul trono. La scelta cadde su Leopoldo di Hohenzollern-Sigmaringen, esponente del ramo cattolico della famiglia Hohenzollern, la stessa a cui apparteneva Guglielmo I.
Napoleone III, temendo che in Spagna si creasse una reggenza filo-prussiana, pretese che la candidatura di Leopoldo fosse ritirata. Non solo: l’ambasciatore francese Vincent Benedétti, recatosi a Bad Ems, località termale della Renania, volle incontrare più volte l’Imperatore in persona, per assicurarsi che la Prussia non avrebbe più avanzato pretese sul trono spagnolo.
Al contrario della maggior parte degli imperatori, Guglielmo I era solito ricevere egli stesso le ambasciate: perciò concesse a Benédetti molti colloqui durante le prime settimane del luglio 1870. L’imperatore era incerto su un’eventuale entrata in guerra contro la Francia, e questo, unito alle abilità diplomatiche e all’insistenza dell’ambasciatore, avvicinò la risoluzione della crisi, che prospettava, dunque, una vittoria diplomatica francese.
A quei giorni risale anche una foto del sovrano a fianco del principe Nicola Guglielmo di Nassau (sono in molti a ritenere, erroneamente, che l’altra figura sia proprio l’ambasciatore Benédetti).
E Bismarck? Il primo ministro prussiano, venuto a sapere delle trattative in corso, decise di dirigersi a Ems: il suo timore principale era che Guglielmo I fosse lasciato a trattare di persona con l’ambasciatore. Per il Cancelliere di Ferro, su posizioni assai più decise del suo sovrano, non bisognava dimostrare nessuna arrendevolezza nei confronti della Francia, ma rispondere con fiero spirito patriottico.
Durante il viaggio verso la località, il 12 luglio 1870, decise di fermarsi nella sua casa di Berlino, invitando a pranzo il Capo di stato Maggiore Von Moltke e il Ministro Roon, coi quali era in stretto contatto per organizzare la tanto auspicata guerra. Fu allora che giunse la notizia: il padre di Leopoldo, Carlo Antonio, per evitare tensioni con la Francia, aveva ritirato la candidatura al trono del figlio.
Nella sala da pranzo calò un pesante silenzio, frutto dello schiaffo che i Francesi avevano appena inferto all’onore del paese. Ecco cosa ci racconta di quei momenti lo stesso Bismarck:
Mio primo pensiero fu di abbandonare il servizio, poiché dopo tutte le provocazioni offensive che avevano avuto luogo, vedevo in questa sottomissione forzata un’umiliazione della Germania di cui non volevo rendermi ufficialmente responsabile. Quest’impressione di offesa fatta al nostro sentimento nazionale coll’obbligarci a una tale ritirata era in me così prepotente, ch’io ero risoluto di annunziare ad Ems le mie dimissioni.
Sfumata la possibilità di sfruttare una crisi diplomatica, diveniva impossibile dichiarare guerra alla Francia senza essere “chiamati attaccabrighe”. Con la fine di ogni occasione di guerra, tramontava anche la possibilità dell’unificazione.
Bismarck trascorse il resto della giornata in preda allo sconforto, discutendo delle sue inevitabili dimissioni con Von Moltke e Roon. Nemmeno lui poteva sapere che il giorno successivo la sorte, contro ogni previsione, avrebbe soffiato a suo favore.
Un telegramma da Abeken
Il 13 luglio 1870 Von Moltke, Roon e Bismarck erano ancora a pranzo a casa di quest’ultimo: mentre discutevano animosamente delle sorti del Governo, arrivò un telegramma da parte di Heinrich Abeken, Consigliere segreto del re. Il messaggio raccontava l’ennesimo tentativo di approccio all’Imperatore da parte di Benédetti, che desiderava ulteriori garanzie circa la definitiva rinuncia alla corona di Spagna. L’ambasciatore veniva congedato non senza una leggera irritazione, rinviando ulteriori comunicazioni a un momento più opportuno.
Guglielmo I, quindi, aveva disposto che fosse il suo primo ministro a decidere se rendere noto alla stampa anche questo avvenimento, oggetto del dispaccio. L’occasione era perfetta: l’opinione pubblica non avrebbe mai saputo il reale svolgimento dei fatti, ma solo quello che i tre avrebbero fatto trapelare.
Il Cancelliere, allora, presa in mano la penna, cominciò a snaturare il contenuto del telegramma per alterarne il significato. Laddove una serie di formule di cortesia rifiutavano in maniera elegante e composta le insistenze di Benédetti, rimase solo uno sdegnoso rifiuto. Il tono con cui Guglielmo I scriveva a Bismarck era prudente e incerto; la nuova versione del dispaccio di Ems mostrava una Prussia decisa, unita e forte.
Per offrire al lettore la possibilità di confrontare con i suoi occhi l’interpolazione bismarckiana del messaggio, offriamo entrambi i testi tradotti (gli originali in tedesco sono disponibili a questo link).
Testo originale del dispaccio di Ems
“Sua Maestà mi scrive: Il conte Benédetti mi ha sorpreso insidiosamente alla passeggiata, chiedendo in modo molto insistente l’autorizzazione a telegrafare subito che per l’avvenire non avrei più dato il mio consenso, qualora gli Hohenzollern fossero ritornati alla loro candidatura. Ho finito col congedarlo un po’ severamente poiché non si devono ne si possono prendere tali impegni à tout jamais. Gli ho detto naturalmente che non avevo ancora ricevuto nulla e che egli, avendo prima di me l ‘informazioni da Parigi e da Madrid, vedeva bene che il mio governo era di nuovo fuori di questione.
Di poi sua Maestà ha ricevuto una lettera del principe Carlo Antonio. Siccome sua Maestà aveva detto al conte Benédetti che aspettava notizie del Principe, così tenuto conto della pretesa di lui, la stessa Maestà, per consiglio mio e del conte Eulenburg, ha deciso di non più ricevere il conte Benedetti, ma di fargli dire da un aiutante, avere ricevuto ora dal Principe la conferma della notizia che Benedetti già aveva avuto da Parigi (e cioè che il Principe aveva ritirato la sua candidatura) e non avere più nulla da dire all’ambasciatore. Sua Maestà lascia all’arbitro dell’Eccellenza Vostra, se non si debba comunicare subito, sia ai nostri ambasciatori, sia alla stampa, la nuova pretesa di Benédetti e il rifiuto ad essa opposto”

Testo alterato del dispaccio di Ems
«Dopo che le notizie della rinuncia del Principe ereditario di Hohenzollern sono state comunicate al Governo imperiale francese da quello reale spagnolo, l’ambasciatore francese in Ems ha richiesto ancora Sua Maestà il Re di autorizzarlo a telegrafare a Parigi che Sua Maestà il Re si impegnava per tutto il tempo avvenire a non dare giammai il suo consenso, qualora gli Hohenzollern ritornassero alla loro candidatura. Sua Maestà il Re ha ricusato di ricevere ancora l’ambasciatore francese e ha fatto dire per mezzo del suo aiutante che non aveva nulla da comunicare all’ambasciatore».
Ciò che più rende insidiosa una fake news è una mezza verità: in tal caso, infatti, diventa molto complesso distinguere il falso dal vero, perché vi è una complessa mescolanza tra i due. Il dispaccio di Ems non fu alterato nel contenuto, bensì principalmente nel tono del discorso. La nuova versione, più concisa e laconica, mirava a infervorare gli animi del popolo tedesco, e al contempo a movimentare i nazionalismi francesi per suscitare un’aggressione. Nelle parole di Bismarck, esso mirava a fare “l’effetto di un drappo rosso sventolato davanti al toro gallico». La risposta di Parigi, naturalmente, non tardò ad arrivare.
La fine della Grande Nation
Il testo del dispaccio, diffuso dai giornali già nel pomeriggio del 13 luglio, arrivò in Francia il giorno successivo, il 14 luglio 1870, proprio durante l’anniversario della Presa della Bastiglia. I cittadini francesi, infervorati di orgoglio nazionale, giudicarono il comportamento di Guglielmo I increscioso e inaccettabile. Napoleone III, messo alle strette, si decise infine a dichiarare guerra alla Prussia il 19 luglio 1870. Fu così che un incidente diplomatico pilotato con sapienza divenne la miccia per la Guerra franco-prussiana (1870-1871).
Von Moltke e Roon sapevano di avere un esercito più grande e meglio addestrato di quello francese. Per questo, in poche settimane la Prussia riportò decine di vittorie: a Wissembourg, a Wörth, a Spiecheren, a Gravelotte, a Beaumont, a Metz. Durante una delle più disastrose sconfitte francesi, a Sedan, lo stesso Napoleone III fu catturato, firmando, il 2 settembre 1870, la capitolazione dell’Impero.
Il popolo di Francia, però, continuò a combattere come Terza Repubblica Francese: durante la seconda parte del conflitto si verificò anche uno degli episodi più crudi della guerra: l’assedio di Parigi (settembre 1870 – gennaio 1871), in cui morirono anche 47.000 civili.
Quando il Trattato di Francoforte (10 maggio 1871) sancì la fine degli scontri, la Francia dovette cedere l’Alsazia e la Lorena, consegnando al nemico vincitore una preziosissima risorsa. Nel momento in cui tramontava, per la Francia, il mito della Grande Nation, la Prussia riunificava i numerosi popoli germanici in un unico Impero Tedesco, il Secondo Reich, raggiungendo quel traguardo a cui Bismarck mirava da anni.
E, mentre i vincitori sognavano di regnare sui territori del Barbarossa, la durezza degli scontri parigini determinava la nascita di un sentimento di revanche (rivincita) nel popolo francese, sintetizzato dallo slogan “pensarci sempre, non parlarne mai”. Questo antagonismo contro i Tedeschi rimarrà vivo fino al XX secolo, e sarà la principale causa dei durissimi risarcimenti di guerra imposti alla Germania al termine della Prima Guerra Mondiale.
Il prezzo da pagare
Per quanto decisivo, il dispaccio di Ems non è l’unica, né la principale causa per cui si pervenne alla guerra. Anche gli esasperati nazionalismi, allora presenti da entrambe le parti, influirono in maniera non secondaria: spesso i sovrani agirono contro la loro volontà, costretti dalla voce dell’opinione pubblica. Bisogna, poi, considerare la diversa sensibilità del passato rispetto alla guerra, ricordando che nell’Ottocento la Patria costituiva un vincolo di sangue sacro e inviolabile. È probabile, dunque, che la situazione sarebbe precipitata nel giro di pochi anni anche senza l’intervento di Bismarck.
Che cosa può insegnarci, allora, la storia del dispaccio di Ems?
La migliore lezione che possiamo trarre è che ogni menzogna viene fabbricata per un pubblico disposto a crederle. Se dietro al telegramma non si fossero accumulati anni di odio nazionale e di risentimenti tra Tedeschi e Francesi, magari la notizia non avrebbe nemmeno dato adito a uno scandalo. Se poi la diplomazia fosse stata davvero un metodo per risolvere le controversie nazionali, e non un pericoloso gioco di alleanze e poteri, allora forse la storia sarebbe fluita davvero in modo diverso.
In tempi di muri e di barriere tra paesi bisogna sottolineare che ogni falsità viene propagata, prima che dal suo creatore, dallo sciocco che, per credervi, è disposto a sacrificare la propria capacità critica; così però, anziché placare l’istintivo sentimento di paura che l’uomo prova verso l’ignoto, lo si alimenta con notizie errate, disinformazione e una propaganda mirata al ventre, anziché alla testa, delle persone.
Il dispaccio di Ems ci insegna che il prezzo da pagare in questi casi non è perdere un’occasione di confronto col diverso; ma è estremamente più alto, e sanguinoso.
Francesco Faccioli
(In copertina “L’assedio di Parigi”, di Jean Louis Ernest Meissonier, 1884, olio su tela, Musée d’Orsay, Parigi)