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Intervista a Friendly Shop Italia

Friendly Shop 1

Concetti quali sostenibilità, Plastic Free e Zero Waste sono nati da poco; da quando, osservando la società dei consumi in cui viviamo, ci si è resi conto che tra qualche decina di anni non ci sarà un futuro roseo per il pianeta in cui viviamo.

Le bottigliette d’acqua che acquistiamo ogni volta che ci ritroviamo assetati fuori casa, i sacchetti e le pellicole trasparenti in cui avvolgiamo il pranzo, gli incarti vuoti delle merendine, tutti questi scarti apparentemente innocui contribuiscono ad alimentare l’isola di rifiuti galleggiante in mezzo all’oceano, chiamata Pacific Vortex Trash. Nel tentativo di arginare la sempre crescente ondata di oggetti monouso, tra i maggiori responsabili di inquinamento della Terra e dei nostri mari, sono nati molti oggetti alternativi, costruiti in legno, metallo, bambù, fibre naturali, riutilizzabili all’infinito e assolutamente non dannosi per l’ambiente.

Il 9 giugno 2018 è stato inaugurato a Padova “Friendly Shop Italia” (link al sito ufficiale), la prima attività italiana dedicata esclusivamente alla vendita di prodotti eco-sostenibili e zero waste. In onore del Plastic Free July, abbiamo deciso di intervistare Caterina e Nicolae, i proprietari.

Arianna Bandiera e Alice Buselli


Allora, il vostro è il primo negozio in Italia dedicato non al cibo sfuso, bensì a prodotti del mondo zero waste. Cosa vuol dire per voi questa definizione?

Il concetto originale sarebbe di non produrre rifiuti e soprattutto non far finire nulla in discarica; si parla quindi di riduzione dei consumi, riutilizzo di ciò che si ha già, riciclaggio se non si può fare altrimenti ed infine il compostaggio. Questi sono i valori che poi noi rapportiamo a tutto il negozio, però per noi “zero waste” è anche etica, ossia oggetti prodotti rispettando l’ambiente e i diritti dei lavoratori.


Quando avete iniziato ad appassionarvi a questo tema e quando è nata l’idea di questo negozio?

Io ho iniziato ad interessarmene quattro/cinque anni fa, partendo dalla moda sostenibile e arrivando anche ad altri ambiti che mi hanno fatto scoprire lo zero waste. Mio marito, che lavora qui con me, ha cominciato dopo, sai vivendo insieme si prendono le abitudini dell’altro. L’idea del negozio è arrivata a gennaio dell’anno scorso: cercavamo questo genere di prodotti per noi, però dovevamo sempre comprarli online facendoli arrivare dall’estero, non sapendo come e se sarebbero arrivati ed era un controsenso acquistare un prodotto per ridurre il nostro impatto ambientale facendolo arrivare da chissà dove. Ci siamo accorti che in Italia non esistevano negozi del genere, quindi abbiamo deciso di aprirne uno noi.


A questo proposito, voi come tentate di ridurre il vostro impatto sull’ambiente, considerando anche che una grande quantità di ciò che vendete è importato?

Allora, per quanto riguarda i pacchi che ci arrivano, noi lavoriamo esclusivamente con aziende che spediscono con imballi di carta, che noi poi riutilizziamo per le nostre spedizioni; inoltre cerchiamo di fare pochi ordini, ma molto abbondanti. Ci basiamo molto sul riutilizzo; oltre agli imballaggi che citavo prima, recuperiamo scatoloni dai supermercati e li adoperiamo per le nostre spedizioni. L’unico rifiuto che produciamo è lo scotch su questi che a volte non viene tolto.


Facendo una panoramica generale, voi che genere di prodotti vendete?

Oggetti di uso quotidiano, partendo da spazzolino, dentifricio, shampoo per arrivare magari alle spugne per i piatti, tutti però o privi di packaging o con un packaging riciclabile o compostabile e sono prodotti che servono ad evitare rifiuti di plastica o non riciclabili. Possiamo più o meno dividere il negozio in quattro sezioni: la prima è dedicata alla cura della persona, quindi spazzolini, dentifrici, il collutorio in pastiglie, shampoo e detergenti solidi, balsami e creme in barattoli di vetro o metallo, prodotti per il ciclo mestruale eccetera.

Poi ci sono tutti i prodotti per la casa, dal detergente per i piatti alle spugne in fibra naturale e alle buste in silicone per conservare gli alimenti. Ci sono anche oggetti utili per quando si esce, per esempio le classiche borracce e cannucce in metallo, i sacchetti in tela per fare la spesa e i contenitori per il pranzo. Ci occupiamo anche, in parte, di abbigliamento. Per ora abbiamo collaborato solo con Casagin, una ditta padovana che produce intimo sostenibile in fibre naturali, però, dato che a settembre ci sposteremo in una sede più grande, inizieremo a vendere diverse tipologie di vestiti.


Tu prima hai parlato di etica e di rispetto dei lavoratori. Come fate ad assicurarvi che ogni singolo articolo corrisponda ai vostri valori? Che tipo di certificazioni guardate?

Quando ci sono, le certificazioni sono sempre una garanzia in più, noi però abbiamo scelto di lavorare anche con aziende piccole e molte non le hanno, dato che costano parecchio. Facciamo sempre molte domande sulla produzione, i materiali impiegati, chiediamo delle fotografie delle fabbriche e siccome non è facile per una ditta impegnarsi in modo etico in tutti questi ambiti, chi lo fa è ben felice di raccontarci in modo dettagliato come lavora.

Tra l’altro, una buona parte di ciò che vendiamo è stato creato da tre/quattro persone, quindi in questi casi, quando faccio un ordine, ho la possibilità di parlare con una persona che sta realmente dietro ad un determinato prodotto. Per quanto riguarda aziende grandi, le certificazioni sono una garanzia in più, nonostante non siano sempre affidabili: andrebbero rinnovate ogni anno, tuttavia alcuni la acquistano solo la prima volta e poi continuano ad usufruirne. Anche per questa ragione preferiamo indagare un po’, benché non si possa mai avere la garanzia al cento per cento.


Avevate conoscenze pregresse anche per quello che riguarda le sostanze presenti magari in uno shampoo o in un sapone?

Io ho lavorato tre anni in una grossa azienda di cosmesi e nell’ultimo anno mi sono occupata di informazione al personale, quindi avevo già una formazione riguardo alla struttura della pelle, della cute, dei capelli eccetera. Ogni qualvolta che entriamo a contatto con un prodotto cerco di procurarmi più informazioni possibili da fonti accertate.


Per quanto riguarda invece i materiali che fungono da packaging, quali sono quelli con il minore impatto ambientale?

È un argomento molto ampio perché certi materiali possono essere difficili da produrre, però poi possono essere usati per molto tempo, oppure riciclati all’infinito, per esempio il vetro, che io consiglio soprattutto per la sua durabilità. La carta riciclata, al contrario, è più sostenibile in fase di produzione, però può essere riciclata nuovamente un minor numero di volte rispetto alla carta vergine, dopo un po’ ha addirittura bisogno di nuova carta vergine per essere riciclata; tuttavia ha il grande vantaggio di poter essere decomposta nel terreno.


Avete mai pensato alla possibilità di avere una vostra catena di negozi sparsi in altre città?

In realtà sì, ci abbiamo pensato. È indubbiamente un investimento importante ma, a parte quello, io vorrei che dentro questi negozi ci fossero persone convinte, che seguono questo stile di vita e che pensano anche in un certo modo. Siccome per il momento ne ho incontrate poche a cui metterei in mano un’attività simile, preferiamo ampliarci qui e migliorare il sito online, da cui comunque riusciamo a spedire in tutta Italia, in modo da avere maggiore visibilità. Alla fine, l’importante è diffondere questo pensiero e questo modo di vivere.


Ho visto che per i vostro primo anniversario dall’apertura avete deciso di far parte di One Percent for the Planet. Mi parleresti di questo?

Si tratta di una no-profit che ingloba tante altre associazioni. Se decidi di farne parte, una volta l’anno invii il tuo fatturato e loro calcolano l’uno percento dei profitti, cifra che sarà poi devoluta ad un’attività che si occupa di inquinamento o ambiente, marittimo o terrestre, oppure legata agli animali. Ti segnalano alcune no-profit che condividono i tuoi valori e poi scegli ogni volta a chi donare i soldi. Se hai un fatturato abbondante, puoi anche scegliere di dividere la tua parte tra più associazioni.


Friendly Shop non è l’unica attività di questo genere che svolgete. Guardando il vostro sito, ho notato che collaborate con varie aziende che impiegano parte del loro ricavato in attività di beneficenza.

Abbiamo selezionato alcune ditte anche per questo. Per esempio Ecofemme, che produce assorbenti riutilizzabili, ad ogni pezzo acquistato ne dona uno ad una ragazza in zone rurali dell’India. Nella nostra fattura si trova il costo degli assorbenti e il costo di questa beneficenza, se così vogliamo chiamarla. Un altro esempio è la Hydrophil, che crea spazzolini e altri prodotti per la cura della persona. Loro donano addirittura il dieci percento del loro fatturato ad un’associazione che si occupa di far arrivare acqua potabile e servizi igienici in zone in cui non sono ancora disponibili. Non è comune trovare aziende così e, se ne abbiamo trovate più di una che corrisponda ai nostri criteri, scegliamo di collaborare con una che magari è coinvolta in simili progetti.


Che cosa consigliereste ad una persona che voglia avvicinarsi ad uno stile di vita zero waste, soprattutto se spaventata dai prezzi che vede in negozi come il vostro?

Allora, il mio consiglio è di capire innanzitutto che genere di rifiuti si produce e in base a quello capire in che cosa si può migliorare, iniziando con cose semplici, per esempio la borraccia al posto delle bottigliette di plastica, uno spazzolino in bambù invece di uno in plastica. Per qualcuno può essere stimolante partire magari dalla zona bagno, quindi dentifricio, dischetti struccanti riutilizzabili, cottonfioc compostabili, per altri è più comodo cominciare con spazzole compostabili per la cucina o le alternative alla pellicola trasparente.

La questione dei prezzi invece è più ampia, visto che spesso si fa il paragone tra articoli del supermercato e quelli del negozio zero waste, mentre si dovrebbe fare tra un prodotto biologico, naturale e uno “zero waste”, perché in quest’ultimo caso la differenza non è particolarmente ampia. Inoltre noi lavoriamo con aziende piccole, quindi con costi altissimi. Se parliamo di una persona in difficoltà economiche, ci sono altre strade, per esempio quella dell’usato, anche solo per l’abbigliamento, e quella dell’autoproduzione. Se invece si ha una buona disponibilità economica, si tratta di scegliere come e cosa acquistare.


Qual è la tua opinione sull’atteggiamento della società italiana nei confronti dei rifiuti?

Allora abbiamo dei punti forza, per esempio ci sono tantissimi mercati, con una grande varietà frutta e verdura, dove è possibile andare con il proprio sacchetto riutilizzabile, poi qui è molto meno comune la colazione da asporto. Dall’altro lato ci sono alcune cose comuni un po’in tutto il mondo, per esempio lo spreco alimentare. In Italia potremmo migliorare in questo senso, all’estero si trovano diversi programmi per recuperare i cibi scartati nei supermercati. Per quanto riguarda la raccolta differenziata, tanta gente non la fa nemmeno e chi la fa spesso si trova in difficoltà, anche perché ci sono differenze anche di comune in comune.


Cosa potrebbe essere fatto anche da parte della politica?

Potrebbe fare tantissimo e non sta facendo granché. Ci sono stati alcuni paesi e alcune città che hanno vietato la produzione di determinati articoli, l’Unione Europea ha bandito dieci prodotti monouso. In generale non mi sembra si stia facendo molto, dato che basterebbe cessare la produzione di determinati articoli. Ovviamente non è una cosa immediata, bisogna dare il tempo al mercato di adattarsi, però non si può nemmeno pensare di farlo tra dieci anni, perché allora non ci sarà più tempo. Parlando poi di riscaldamento globale, è un argomento che non viene nemmeno trattato.


Pensate che questo stile di vita e di approccio all’ambiente possa avere una diffusione su larga scala?

Secondo me tra un po’ diventerà un’esigenza. Rimane sempre il problema di base che è una questione di consumi, perché aumenterebbe la richiesta di certi prodotti e certi materiali, perciò noi come persone dovremmo iniziare a pensare a cosa ci serve davvero.

Friendly Shop 2
Logo di Friendly Shop Italia.
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