CronacaCultura

Processo al nuovo esame di Stato

Esame di Stato

Nel mondo latino la chiamavano damnatio memoriae. Letteralmente, condanna della memoria; praticamente, la cancellazione di ogni traccia dell’esistenza di una persona considerata nemica dello Stato. Un procedimento che avveniva partendo dall’assunto di base che, se non resta nulla del passato di una persona, non resta neanche quella persona; e l’immortalità che Foscolo avrebbe suggerito quasi due millenni più tardi nei Sepolcri come possibile solo attraverso la poesia (e quindi anche tramite ogni altra forma di arte) veniva annullata in nome di crimini contestati ma spesso mai avvenuti.

Cancellare la storia

Marco Antonio, Caligola, Nerone e Domiziano sono gli esempi più illustri, ma non gli unici, colpiti da tale decreto. I loro busti scomparvero dal foro, le loro gesta vennero messe a tacere, i loro ritratti cancellati dalla memoria collettiva, le iscrizioni riportanti i loro nomi vennero sfregiate per impedire che le generazioni successive quei nomi potessero gridarli a voce alta nel cuore pulsante di Roma o anche solo sussurrarli piano per seguirne le orme nel cupo ritrovo di un gruppo di congiurati.

Fin da allora cancellare il passato, fare come se non fosse mai avvenuto, era un’armapolitica prima che sociale – per dimenticare e, soprattutto, per controllare. Un popolo che non conosce la sua storia è un popolo facile da manipolare. Winston Smith, il protagonista di 1984 di George Orwell, nella società distopica di Oceania dominata dal Grande Fratello, lavora presso il Ministero della Verità e ha il compito di modificare il passato in favore del presente e, se necessario, eliminarne ogni traccia.

Un incarico simile a quello di Guy Montag in Fahrenheit 451 (romanzo scritto nel 1953 da Ray Bradbury), dove il protagonista è un pompiere incaricato di bruciare i libri, perché proibiti dal regime; e, di conseguenza, cancellare la cultura per condizionare un’opinione pubblica ignorante e priva dei mezzi necessari per pensare con la propria testa. Ecco, volevo partire da qui per analizzare le modifiche che sono state applicate al nuovo esame di Stato, in particolare l’eliminazione della traccia storica, cercando di seguire un ideale filo che congiunga le ultime riforme e gli ultimi decreti che governi diversi supportati da diverse maggioranze hanno approvato in questi anni.

Per una storia dell’istruzione in Italia

L’istruzione è sempre stata uno dei temi più scottanti per gli esecutivi che, con alterne fortune, relativi successi e numerosi fallimenti, si sono alternati alla guida dell’Italia negli ultimi anni.  La fragile cartina al tornasole di un paese ormai definitivamente alla deriva.

E il seguente articolo, in minima parte, vuole essere un resoconto delle ultime puntate di questa storia, a poche settimane dalla conclusione del celebre esame di Stato, quella maturità che tanto spaventava i nostri nonni e che poi, con il passare del tempo, si è sempre più ridotta a una pallida ombra di ciò che era, di quello che rappresentava. È opportuno partire da qui per capire cosa è cambiato nel corso del tempo e come siamo arrivati a quest’anno.

Riassumendo per sommi capi la storia dell’istruzione in Italia, possiamo dire che l’ordinamento scolastico – soprattutto per quanto riguarda insegnamento e didattica – sia rimasto sostanzialmente invariato dal 1923, con la riforma varata dal filosofo Giovanni Gentile, ministro durante il primo governo Mussolini. Quello che è cambiato, nel corso del tempo, è stato, invece, l’esame di maturità. La data chiave da cui possiamo partire è il 1969. Mentre nel resto del mondo veniva celebrata la conquista della luna, quattrocento mila persone partecipavano al festival di Woodstock, nell’ultimo anno in cui si esibirono i Beatles, a Londra, sul tetto della Apple Records, e durante il primo della carriera discografica dei Led Zeppelin. Cinquant’anni fa.

Il ministro era Fiorentino Sullo, il presidente del consiglio Mariano Rumor (primo mandato).  In base alla nuova riforma, varata da quel governo, l’esame prevedeva due prove scritte (il tema di italiano comune a tutti gli indirizzi e una verifica specifica diversa per ogni corso di studio) e un orale in cui il candidato doveva portare altre due materie, una scelta da lui e una dalla commissione, da quest’anno formata quasi interamente da docenti esterni ad eccezione di un professore interno. La prova si chiamava ancora “maturità”.

Per adottare il nome di “esame di Stato” la scuola avrebbe dovuto aspettare altri trent’anni, fino a quando, nel 1997, Luigi Berlinguer (ministro dell’istruzione del primo governo Prodi), applicò una grande rivoluzione: tre prove al posto di due, con l’introduzione del celebre “quizzone multidisciplinare”, deciso dalla Commissione, formata da metà dei membri interni, da metà esterni e dal presidente; e un orale in cui lo studente doveva portare tutte le materie del corso. La votazione passò in centesimi (45 punti provenienti dalle tre prove scritte, 35 dall’orale e 20 dal credito formativo appena introdotto).

Le ultime riforme

Da questo momento venne a mancare il rigido alternarsi di modifiche, apportato ciclicamente circa ogni trent’anni e verificato in un lungo periodo di tempo. Non passò neanche un lustro che Letizia Moratti (ministro dell’istruzione sotto il secondo governo Berlusconi) riprese in mano la questione e nominò una commissione interamente costituita da docenti interni, eccezion fatta per il presidente. Nel 2007 Giuseppe Fioroni (nominato nel secondo governo Prodi) reintrodusse le commissioni miste e aumentò il credito formativo da 20 a 25 punti, riducendo così di cinque quelli attribuiti all’orale.

Nel 2017, invece, Valeria Fedeli (nel governo Gentiloni), con la “Buona Scuola-bis”, eliminò la terza prova introdotta da Berlinguer, rimosse la tesina e introdusse nell’esame la presentazione dei progetti di Alternanza scuola-lavoro (Asl), punto cardine della “Buona Scuola 1” di Renzi.

Tra il 2018 e il 2019, sull’onda della formazione dell’esecutivo Lega-Movimento Cinque Stelle (governo Conte I) vennero attuate in corsa alcune modifiche alla precedente riforma, firmate dal ministro Marco Bussetti, modifiche che comprendevano l’eliminazione del tema storico dalle tracce della prima prova, la sostituzione della presentazione dell’esperienza di Alternanza scuola-lavoro (già entrata in vigore ma non ancora nell’esame) con quella dei “Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” (Pcto) durante l’orale; e, in più, l’introduzione di alcune domande di cittadinanza e costituzione, a scelta dei docenti.

Nella nuova configurazione uscita dalla riforma del 2015 e dai decreti successivi, l’esame di Stato cambiava anche il numero dei crediti formativi, che passavano da 25 a 40 per valorizzare l’impegno profuso negli ultimi tre anni di studi; mentre le prove assumevano un valore totale di 60 punti (40 per gli scritti e 20 per l’orale).

Esame di Stato 2
Sopra “Two open books”, immagine di Aaron Burden, da Unsplash.

Elementi di critica alle nuove prove scritte

Se, da una parte, non ci si può lamentare dell’eliminazione della terza prova e, a conti fatti, neanche della rimozione della tesina (si vedano le percentuali degli studenti che la copiavano da internet nell’anno scolastico 2015-2016); dall’altra si può discutere dell’abolizione del tema storico; vero e proprio esempio di damnatio memoriae ai giorni nostri, applicata non su un individuo ma sull’intero concetto di passato. A tal proposito è illuminante l’intervento della senatrice a vita Liliana Segre, che ha ribattuto con amarezza al ministro Bussetti:

Sono una voce che grida nel deserto dei morti. E cosa succederà quando non ci saremo più? La storia è sempre manipolabile. E, dopo che verranno meno gli ultimi sopravvissuti, la Shoah diventerà una riga nei libri di storia. E più tardi ancora, non ci sarà neppure quella. Ricorda 1984 di Orwell? Nessuno è riuscito a dirlo meglio dello scrittore inglese. E trovo assurdo che in tempi come i nostri – nel segno delle parole d’odio – il ministero dell’Istruzione sancisca la marginalità della storia. Devo confessare che, dinanzi alla decisione di cancellarne la traccia alla maturità, sono rimasta sbigottita ma non totalmente sorpresa: come se mi fosse arrivata la conferma triste di tanti segnali registrati negli ultimi anni. Le cose non arrivano mai di colpo, ma sono l’esito di lunghi processi.

Liliana Segre

Scrive Alessandro D’Avenia sul Corriere della Sera, in data 19 giugno 2019, data di battesimo della nuova maturità:

È sparito anche il tema di storia, perché essendo ormai «individui» che si auto-creano, non abbiamo una storia: se ognuno può essere e diventare ciò che vuole quando vuole, a che serve il passato? È il ribaltamento voluto da una cultura tecno-pragmatica schiacciata sull’attualità e la cronaca.

Alessandro D’Avenia

La storia oggi non può essere messa da parte perché sempre più spesso intorno a noi vediamo esempi di come il volontario dimenticarsi di quello che è successo sia uno strumento per riscrivere il passato e manipolare l’opinione pubblica, come il risorgere di ideologie che si sperava fossero state superate da tempo e la nascita di nuove teorie, che mirano proprio a ridisegnare gli eventi accaduti. E, purtroppo – come al solito visto che la storia si ripete – si impara in fretta a chiudere gli occhi

Per quanto riguarda la seconda prova, invece, la novità consisteva nella formulazione del test, da quest’anno comprendente due materie curricolari anziché una sola, in una tipologia di verifica mai provata nel corso degli anni precedenti (e inserita in corsa a quattro mesi dall’esame). Se allo scientifico ci sono stati molti problemi per l’inedita coppia “matematica e fisica” al posto dell’annuale estrazione di una tra le due materie; i ragazzi del classico sono stati abbastanza agevolati dalla doppia versione (una in latino da tradurre e una in greco già tradotta, di argomento analogo, da commentare in riferimento al primo testo), nonostante sia stato scelto Tacito come autore. In generale, però, emerge l’incapacità degli organi istituzionali di informare e preparare per tempo gli studenti sulle nuove modalità di svolgimento della maturità, rivoluzionata in modo frettoloso, sbrigativo e superficiale.

Elementi di critica al nuovo orale

Il colloquio orale, invece, con la scusa di introdurre una vera parità tra tutti gli studenti, si trasforma in una partita a carte con il destino. Un gioco macabro e spietato in cui l’alunno deve scegliere una busta e poi, scartandola, partire dal documento che vi trova all’interno per improvvisare un percorso multidisciplinare che tocchi quante più materie possibile. L’individualità e la specialità di ogni persona vengono azzerate, i ragazzi diventano semplici contenitori di nozioni, che si riempiono il tempo dell’esame e si svuotano in neanche un giorno. È quasi paradossale che proprio nell’epoca della passività per eccellenza, dove ogni cosa sembra a portata di mano – o, più verosimilmente, a portata di un click –, il ministero abbia deciso di rendere ancora più passiva la maturità.

L’esperienza di alternanza scuola-lavoro – una buona idea applicata male – si riduce a cinque minuti di presentazione in power point, che non interessa agli alunni e nemmeno agli insegnanti, costretti a perdere del tempo sul progetto anche durante l’esame, oltre alle tante ore perse durante l’anno. Cittadinanza e costituzione, invece, che sulla carta sarebbe una disciplina necessaria soprattutto in questi ultimi anni, è stata introdotta nella prova orale senza tenere conto del fatto che sono pochissimi gli indirizzi che la annoverano tra le materie curricolari; e pertanto il ministero ha solo costretto i docenti ad aggiungere argomenti in corsa, senza trattarli davvero fino in fondo. Sembra un vizio di questi tempi, fermarsi in superficie perché è troppo difficile e lungo sprecarsi a scendere in profondità.

La forza di affrontare il mondo

Il rischio non preso in considerazione di tutto questo è una generale rinuncia: di fronte all’imbarazzante percentuale di chi non passa la maturità (nel 2018 solo lo 0,5%) e all’inutilità del diploma per una carriera universitaria, gli studenti iniziano a perdere la voglia di andare avanti, ad abbandonare la curiosità che da sempre dovrebbe contraddistinguere la scuola. E, giorno dopo giorno, si alza un muro sempre più alto tra giovani e istituzioni.

Quest’anno me ne sono accorto troppo spesso, ogni mattina di maggio con la pioggia che bagnava i vestiti e l’umido che entrava nelle ossa; me ne sono accorto ogni volta che i professori saltavano un argomento perché “c’è un programma da rispettare”; ad ogni verifica “tirata via” perché l’esame si fa sempre più vicino; durante i ripassi disperati dell’ultimo minuto in cui si riesce a recuperare un anno intero; e, subito dopo le interrogazioni – il peggio è passato –, averlo già dimenticato tutto, quel programma.

La fretta di passare di argomento in argomento, di materia in materia, con come obiettivi fissati di volta in volta verifiche, test e interrogazioni e poi, all’orizzonte, terrificante e bellissimo (perché ultima prova e allo stesso tempo fine dell’esperienza scolastica), l’esame di maturità; tutto questo ha distrutto la scuola, il suo ruolo sociale e umano, l’insegnamento fondamentale che offriva: come affrontare il mondo; e, di conseguenza, si è perso anche il peso che aveva nella vita delle persone, degli studenti, che la frequentano come un obbligo, senza alcuna vera motivazione.

La bellezza collaterale

La scuola oggi insegna a non coltivare la propria essenza, a non imparare strada facendo che ognuno di noi ha una caratteristica unica che deve trasformare in chiave del suo successo – lavorativo e, più in generale, umano; azzera ogni differenza e con esse annulla anche la bellezza collaterale della diversità, la straordinaria ricchezza di cui dovrebbe farsi portavoce. Insegna ad andare avanti solo con le proprie forze, insegna che la storia va dimenticata e che l’unica dimensione a cui bisogna fare riferimento è quella del futuro, una dimensione inafferrabile, incomprensibile fino in fondo e del tutto imprevedibile. Un luogo perfetto per credere di poter essere chi si vuole e immaginare di avere il mondo tra le mani; salvo poi svegliarsi un’altra notte, fradici di sudore, con le pupille dilatate che qualcuno ha detto essere una caratteristica di chi sogna troppo in grande.

La scuola oggi ha tradito la sua missione originale di portare cultura ad ogni fascia del popolo, quell’“illuminare le tenebre dell’ignoranza” tanto caro a Kant e agli illuministi; ha smesso di insegnare a pensare in nome di un’uguaglianza e un’uniformità comoda soltanto ai politici di turno, che hanno bisogno di un elettorato ignorante, cieco e sordo, per governare in tranquillità. Senza vere opposizioni.

La cultura oggi

Brucia il passato perché tanto non si può cambiare, rinnega il presente perché non è mai come vorresti che fosse, e guarda al futuro, è l’unica cosa che puoi costruire con le tue mani”, dice il saggio del ventunesimo secolo, prigioniero dell’eterno adesso di Don Giovanni e della damnatio memoriae volontaria applicata a un passato che non vuole ricordare, nell’ansia quasi spasmodica di affermare il proprio essere al di fuori del tempo.

Lo smartphone stretto tra le dita come una sorta di talismano portafortuna, la bacheca di Facebook aggiornata da neanche dieci minuti, gli occhiali da sole di marca che coprono uno sguardo sempre più vuoto. Sulla bocca parole nuove con cui interpretare un mondo che cambia alla velocità della luce. Seneca lo avrebbe definito un “occupatus”, così tanto preso dal riempire la propria vita di persone, incontri, lavori, esperienze e attività da ridurla a un nulla di fatto, al paradosso di non fare in realtà niente.

Il saggio del ventunesimo secolo è un non-saggio, che ha rinunciato al suo stesso ruolo sociale e ora vaga per il mondo con un vestito che non è il suo, alla ricerca di una storia da vivere che gli possa dare la pienezza di “essere”, nell’epoca del non-essere.

Davide Lamandini

(In copertina Feliphe Schiarolli, da Unsplash)

Sull'autore

Classe 2000. Mi piacciono le storie, qualsiasi sia il mezzo che le fa circolare o la persona che le racconta. Credo nella letteratura, nel tempo che passa e nelle torte al cioccolato per le giornate più tristi. Aspetto con impazienza domani e, nel frattempo, leggo, scrivo e traduco qualche lingua morta persa in un passato lontanissimo.
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