Nel corso dei vari millenni della storia umana ci si è sempre posti numerosi interrogativi sul cosmo, sulle sue dimensioni, sulle sue leggi fisiche e sulla sua vivibilità. Fin dall’antichità l’uomo ha osservato i corpi celesti nel cielo notturno, ansioso di scoprire com’erano costituiti l’universo, le stelle, i pianeti e le galassie. Esattamente 50 anni fa, la scienza, l’ingegno umano e le tecnologie più moderne allora disponibili sono riuscite a concepire uno dei più grandi traguardi nella storia dell’umanità: per la prima volta, tre astronauti americani, Neil Armstrong, Michael Collins e Buzz Aldrin, hanno compiuto un viaggio verso un altro corpo celeste, il più vicino a noi e quello che da miliardi di anni accompagna la Terra nel suo moto di rivoluzione attorno al Sole, la Luna.
La corsa allo spazio
Come nasce un’impresa tanto straordinaria? La storia di questo incredibile progetto comincia negli anni ’50, in un dopoguerra che vede il contrasto diplomatico globale tra le due grandi potenze emergenti nel panorama storico-politico del tempo, l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti. La tentazione di esplorare lo spazio accomunava sia gli uni sia gli altri, ma allora erano necessari mezzi colossali per poter raggiungere un obiettivo del genere.
I sovietici furono i primi a rivoluzionare il campo dell’esplorazione spaziale con l’invenzione, nel 1957, dello Sputnik, mentre negli anni successivi con le missioni Venera inviarono alcune sonde spaziali in grado di atterrare sul pianeta Venere. Gli sforzi russi raggiunsero il loro apice nel 1961, quando le prime missioni di astronauti nello spazio consegnarono al paese il provvisorio primato di superpotenza dello spazio: in quell’anno Juri Gagarin, a bordo del Vostok 1, divenne il primo uomo a compiere un giro completo in orbita attorno alla Terra. Solamente due anni dopo, nel 1963, Valentina Tereskova sarebbe divenuta la prima donna astronauta della storia.
È sorprendente rendersi conto che, mentre i russi stavano monopolizzando la scena delle missioni spaziali, gli Stati Uniti, l’altra grande potenza mondiale era ferma, senza un progetto valido in grado di contrastare i rivali, ad eccezione delle svariate sonde Mariner inviate in vari pianeti del Sistema Solare. L’idea sorse, improvvisa e folle, dal nulla: portare per la prima volta sulla Luna un essere umano e farlo ritornare sano e salvo sulla Terra. Per occuparsi della supervisione generale di questo progetto fu scelto un ingegnere di origini italiane, laureatosi brillantemente al prestigioso Massachussets Institute of Technology: Rocco Petrone.
A lui si unirono altri esperti, tra tutti Wernher von Braun, un tempo il responsabile dei progetti aviazionistici della Germania nazista e che ora si trovava a gestire, a livello realizzativo, una delle più grandi missioni della storia umana. Il presidente Kennedy, primo sostenitore del progetto, dichiarò, il 25 maggio 1961, davanti al Congresso a Washington:
Credo che entro la fine del decennio, il principale obiettivo scientifico e tecnologico da parte degli Stati Uniti sia impegnarsi al fine di portare un cittadino americano sulla Luna e farlo tornare sano e salvo sulla Terra.
John Fitzgerald Kennedy
Queste parole, pronunciate un mese dopo la missione di Gagarin nello spazio, lasciavano presagire un progetto di enorme portata, da realizzare in appena dieci anni.
Verso la luna
La concorrenza però divenne sempre più agguerrita, perché al di là dell’Atlantico le forze sovietiche decisero di puntare su un progetto analogo, che potesse potesse definitivamente affondare il programma spaziale degli USA, assicurando così all’Unione Sovietica il primato mondiale in quel settore. A Cape Canaveral, Florida, iniziò un fitto studio per la progettazione di sonde spaziali all’avanguardia e per la gestione economica e diplomatica del progetto, che poteva decretare il futuro politico della grande potenza americana.
Il programma di ricerca spaziale venne chiamato “Apollo”, dall’idea dell’ingegnere Abe Silverstein, ma resta ancora ignota la ragione sottesa a questa scelta; lo stesso Glennan, amministratore della NASA, non lo specificò mai, limitandosi soltanto al fatto che tale nome gli era sembrato molto attraente. Parallelamente all’attività di progettazione delle sonde, venne introdotto il programma di ricerca Gemini, che si occupava dello studio della fattibilità del progetto dal punto di vista organizzativo.
Le prime sonde Gemini furono lanciate dal campo base di Cape Canaveral nel 1965, e avevano come obiettivo quello di testare la resistenza fisica del corpo umano in condizioni di gravità nulla. I risultati furono in parte soddisfacenti e in parte problematici: Edward Higgins White fu il primo uomo a eseguire una camminata spaziale, uscendo dall’abitacolo della Gemini 4, ma in occasione della missione Gemini 9, l’astronauta Gene Cernan rischiò quasi la vita a causa della parziale rottura del tubo ombelicale che portava l’ossigeno all’interno della sua tuta spaziale, mentre questi era in orbita insieme al suo compagno, Tom Stafford. Se la missione Gemini aveva dato comunque i risultati sperati, ora era il turno del progetto Apollo.
Ma la prima sperimentazione del programma spaziale, Apollo 1, si concluse con un esito drammatico: a causa di un incendio scoppiato all’interno dell’abitacolo della navicella in seguito alla pressurizzazione della cabina, lo stesso Edward White perse la vita, assieme ai compagni Virgil Grissom e Roger Chaffee. I successivi tentativi, Apollo 4, Apollo 5 e Apollo 6, furono sperimentati senza astronauti a bordo e con l’ausilio del nuovo razzo Saturn V, che si dimostrò subito efficiente e in grado di poter compiere vari itinerari molto vicini all’orbita lunare.
Soltanto con Apollo 7 l’uomo poté tornare nello spazio: gli astronauti Walter Schirra, Donn Eisele e Walter Cunningham eseguirono più passaggi ravvicinati attorno alla Luna, entrando nella sua orbita e tale operazione fu ripetuta dall’equipaggio dell’Apollo 8, composto da James Lovell, Frank Borman e William Anders.
I tre futuri pionieri lunari, Armstrong, Collins e Aldrin, vennero testati per la prima volta in occasione della missione “Apollo 9”, quando venne compiuta la prima manovra di distaccamento del modulo d’atterraggio sperimentale LEM, in orbita terrestre. Il progetto procedeva con ottimi risultati e il grande giorno sembrava avvicinarsi sempre di più, soprattutto quando i sovietici, con l’esplosione del razzo N1, nel campo base di Bajkonur, alzarono bandiera bianca, lasciando agli Stati Uniti l’occasione di poter affermare il proprio dominio nel mondo dell’esplorazione spaziale.
Apollo 10 e Apollo 11
Il 18 maggio 1969 fu lanciato Apollo 10, con lo stesso equipaggio della precedente missione, in occasione di una vera e propria prova generale dello sbarco sulla Luna, con l’analoga procedura di rilascio del LEM effettuata in orbita lunare. Il giorno che poi sarebbe entrato nella storia dell’uomo era ormai alle porte; le varie procedure di atterraggio erano state testate con successo e il momento del tanto atteso sbarco sulla Luna era ormai imminente.
Il lancio del programma spaziale che poi sarebbe entrato nella storia, Apollo 11, avvenne il 16 luglio 1969, al Kennedy Space Center. Un milione di persone, tra cui l’ex presidente Lyndon Johnson, arrivò sull’isola di Merrit, a poca distanza dalle coste di Cape Canaveral, per osservare l’evento. Alle 13:32 locali avvenne la partenza del razzo Saturn V a cui era collegato il modulo di comando Columbia e la navicella Eagle. Il razzo vettore si staccò in occasione dell’uscita dall’atmosfera e Eagle, agganciatosi al modulo lunare in orbita, proseguì il suo viaggio verso la Luna, dove i tre astronauti entrarono in orbita in 19 luglio.
Il 20 luglio, il giorno seguente, Collins, in qualità di comandante del modulo di comando, rimase a bordo del Columbia, mentre Armstrong e Aldrin discesero verso Eagle per iniziare le manovre di discesa. La procedura di atterraggio proseguì con qualche problema di troppo, in quanto Eagle aveva una velocità troppo elevata e questo impediva al modulo lunare di atterrare nel punto inizialmente previsto – un inconveniente che avrebbe potuto portare anche al fallimento dell’intera missione e allo schianto della navicella Eagle sulla superficie.
Dopo la sventata minaccia di un sovraccarico della memoria del computer di bordo, l’ufficiale Steve Bales, dal Mission Control Center di Houston indicò il proseguimento delle manovre e nonostante il carburante di Eagle cominciasse a scarseggiare, Armstrong, a bordo del modulo di atterraggio, riuscì ad azionare il comando manuale per evitare l’atterraggio in una zona troppo scoscesa, in vicinanza di un cratere, toccando finalmente il suolo lunare alle ore 20:17 del 20 luglio 1969. L’area dell’atterraggio fu il Mare della Tranquillità, un’antica piana lavica solidificata tre miliardi di anni fa. In quel momento si concretizzò uno dei più grandi traguardi della storia umana, capace di rivoluzionare un’epoca e di cambiare per sempre il mondo della scienza e della tecnologia aerospaziale.
Entrare nella storia
In quella leggendaria impresa è anche protagonista l’Italia, con quel Rocco Petrone, supervisore e organizzatore logistico e tecnico dell’intera missione, che, emigrato oltreoceano all’età di tre anni da un piccolo paese della provincia di Potenza, Sassa Castaldo, aveva portato a termine una delle più grandi missioni che l’uomo aveva mai tentato, facendo riempire d’orgoglio in tal modo un’intera nazione, quella Italiana, che si sentì, così, in parte, di condividere i meriti di questo straordinario successo. Quello che seguì fu storia: la passeggiata lunare di Armstrong e Aldrin, il prelievo di una serie di campioni per analizzare la composizione del terreno e la bandiera americana issata sul suolo di un altro corpo celeste. L’intera missione si concluse il 23 luglio 1989, con l’ammaraggio del modulo lunare rientrato sulla Terra, nelle acque di Cape Canaveral, in presenza del presidente Nixon, che accolse personalmente i tre astronauti.
Per una settimana il mondo aveva visto con i propri occhi superare uno dei più grandi ostacoli che la mente umana poteva concepire, la straordinaria e forse, per i tempi, irrealizzabile, idea che l’uomo potesse camminare su un altro corpo celeste al di fuori della Terra. Oggi a cinquant’anni di distanza possiamo solo ammirare la grandezza di questo progetto che ha rivoluzionato il mondo e, a maggior ragione, associarci alla frase di Neil Armstrong, per ricordare quell’impresa incredibile che ha aperto le porte ad una nuova era per l’esplorazione dello spazio.
That’s a small step for a man, but a giant leap for mankind.
Neil Armstrong
Stefano Maggio