Cultura

“Serotonina”, di Michel Houellebecq – La luce in fondo al tunnel


Molti critici, leggendo “Serotonina”, il nuovo romanzo di Michel Houellebecq, hanno voluto interpretare la storia come una profezia degli attuali disordini politici che il movimento dei Gilet Gialli sta provocando in Francia. Io non sono affatto d’accordo.


Serotonina è, prima di tutto, la storia di un uomo in cerca della felicità, inseguita senza consapevolezza e perduta senza alcuna possibilità di ritorno.

Sarebbe riduttivo pensare al libro come a una feroce critica del libero commercio e della globalizzazione; si parla anche di questo, ma non solo e non principalmente.

Questa opera non si concentra sull’economia, bensì sulla vita. Il problema che Houellebecq mette a fuoco – il problema del dolore – riguarda tutti noi: cosa resta da fare quando non c’è più alcuna possibilità, un’altra via di fuga?

Le pagine si sviluppano come un intricato percorso tra tenebre, che, ad ogni passo, si fanno più oscure. Quando sembra però che tutto sia finito, ecco che appare, inaspettata, una luce in fondo al tunnel.

Serotonina” è la storia di un viaggio, quello che Florent-Claude Labrouste compie in lungo e in largo per la Francia. Così come possiamo dire che, nella “Commedia”, il cammino di Dante assomiglia al cammino di ogni uomo, possiamo paragonare la nostra strada a quella del protagonista. Anziché un itinerario salvifico, però, quello di questo 46enne appare più come una strada verso la tenebra. Nel libro ci viene descritto come “cerimoniale del trapasso”: prima della sua morte, che appare sin da subito inevitabile, egli vuole parlare un’ultima volta con tutte le persone che lo hanno amato e che ha amato.

Come in una rêverie (un sogno ad occhi aperti), vuole incontrare chi ha alimentato in lui la speranza – o l’illusione – della felicità. Allora il cammino si trasforma anche in un viaggio nel passato.

Come l'Inferno di Dante è una discesa verso gli abissi, così Serotonina è un viaggio nell'oscurità,
Sopra “Scale a chiocciola emersione“, immagine di Hans Braxmeier da Pixabay, rielaborazione grafica di Davide Lamandini.

Quando parte da casa, il protagonista è in cerca di una cura per la sua depressione: e la serotonina citata nel titolo non è altro che il principio attivo del medicinale che assume, il Captorix. Le ragioni che hanno condotto Florent-Claude a sviluppare un quadro patologico depressivo rimangono però sotterranee, sospese tra le pagine del romanzo: i riferimenti a queste cause sono sfuggenti, e non permettono di risalire a un’origine precisa.

Tocca allora al lettore chiedersi ciò che, in fondo, chiunque si chiederebbe in un contesto del genere: come può un uomo arrivare a toccare il fondo? E, soprattutto, come può farlo Florent-Claude che, almeno in apparenza, ha tutto, da un conto in banca di settecentomila euro a un lavoro di tutto rispetto presso il ministero dell’Agricoltura francese? Si è anche appena liberato di un falso amore con una ragazza di vent’anni più giovane, che non vedeva l’ora di ereditare le sue ingenti ricchezze. Eppure, la sua vita è infelice.

Lo racconta lui stesso, parafrasando Leopardi. Il sollievo di essere uscito da un rapporto perverso con una donna che probabilmente non ha mai amato davvero è di quella breve felicità che si prova quando si è appena sfuggiti a un’infelicità notevole e ci si ritrova di fronte all’infelicità consueta”. Ma qual è, allora, la sua infelicità consueta? Perché è infelice?

Ciò a cui Florent-Claude cerca di sottrarsi è il senso di impotenza: in primo luogo dal punto di vista lavorativo, dal momento che ha cercato di lottare per anni a favore di un’agricoltura sostenibile, senza mai riuscire a prevalere sugli interessi economici dei grandi produttori; e in secondo luogo dal punto di vista affettivo, perché è stato incapace di tenere vicino chi amava. Ed è proprio l’amore il filo conduttore di tutti i suoi incontri, quando rivede dopo anni quelle che erano state le sue donne, oppure torna nei luoghi in cui le ha conosciute. Questo sentimento, però, non è capace di sconfiggere il suo meccanismo di autodistruzione: “Avremmo potuto salvare il mondo in un batter d’occhi […], ma io ho tradito l’amore”. Il tradimento porta con sé il marchio della colpa. Del resto, come osserva il protagonista, “trovo sia giusto avere una sola possibilità”. Ora che questa è sprecata, non resta che il rammarico: “Finirò la mia vita infelice…e me lo sarò meritato”.

A mano a mano che le diverse tappe si susseguono, il cammino diventa sempre più ineluttabile. La sentenza è una condanna, e non c’è nessuno che possa intervenire. In Florent-Claude si acuisce il dolore di non essere riuscito a cambiare le cose, e il tono diventa sempre più ironico e disperato. “Ho conosciuto la felicità, so cos’è, posso parlarne con competenza, e conosco anche la sua fine, ciò che ne deriva di solito. Un solo essere ti manca e tutto è spopolato”. La solitudine cresce, e con essa la desolazione. Allo stesso tempo, si fa strada anche la sensazione che la fine è vicina. Il pensiero dei suoi fallimenti diventa intollerabile: la morte si conferma come unica possibilità, quasi gradita, una liberazione.

Ma è possibile uscire da questo cerchio fatale? Esiste in un qualche modo la felicità? Su questo Florent-Claude non ha dubbi: deve esistere “anche solo come esca”. Se allora esiste, può lui essere felice? Come risponde lui: “Questo è il tipo di domanda che è meglio non farsi”.

E, mentre i personaggi intorno a lui lottano, a volte fino al suicidio, per i propri ideali, lui non fa altro che sprofondare nel baratro. Di ritorno dal viaggio, il protagonista non ha più dubbi: se prima poteva fingere che la sua vita non fosse completamente perduta, ora i ricordi della vita vissuta con Kate, Camille, Claire e Marie-Hélène gli hanno confermato che la sua esistenza è stata un fallimento.

La consapevolezza di non essere riuscito in nulla ha effetti catastrofici: Florent-Claude comincia a non prendersi cura del proprio corpo, non esce più di casa e medita il suicidio. “Chi ero io per aver creduto di poter cambiare qualcosa nel movimento del mondo?”. La risposta che ha trovato conferma quanto, in cuor suo, sapeva già da tempo: che avrebbe fatto meglio a non vivere.

Verso la fine del romanzo, Florent-Claude non esce più di casa, è depresso nonostante la Serotonina e inizia a meditare di suicidarsi.
Sopra immagine di StockSnap da Pixabay, rielaborazione grafica di Francesco Faccioli.

Eppure, anche se è entrato in una notte senza fine, persiste “un’incertezza che qualcosa nel cielo riprenderà la situazione in mano”. Questa sensazione si manifesta dapprima come un dubbio, il sospetto che l’esistenza non sia davvero così amara. E, quando il personaggio è sul punto di morire “per l’assenza di amore”, quando la disperazione sembra aver raggiunto il culmine, si intravede finalmente la luce.

Prima di spiegare in cosa consista questa intuizione, però, è necessario fare una premessa. Bisogna dare per scontato che la verità si lascia conoscere soltanto attraverso segni e premonizioni. Come scriveva Montale in “Piccolo Testamento”: “Giusto era il segno: chi l’ha ravvisato/ non può fallire nel ritrovarti”. Non tutti, però, sono capaci di riconoscerli. Si rende necessaria, allora, un’illuminazione, che è esattamente quanto accade nel finale.

La verità è che Florent-Claude non è colpevole: non ha nulla da rimproverarsi, tutto ciò che è accaduto era nella volontà dei tempi. Lui è stato soltanto debole, perché si è lasciato influenzare da queste condizioni storiche. Non è stato lui incapace di realizzare il suo “sogno agreste” su una produzione ragionevole e di qualità, ma le grandi multinazionali che glielo hanno impedito.

Non ha potuto essere il maschio di riferimento che avrebbe voluto perché i valori della sua generazione l’hanno bloccato. Non è stato capace di essere felice perché tutto l’Occidente si è condannato all’infelicità. Come riflette lui stesso: “il mondo è una macchina sociale per distruggere l’amore“.

Il capitolo finale ha il sapore di una rivelazione. Florent-Claude scopre che la causa di tutta la sua infelicità era ovvia, ma non ha saputo riconoscerla:

“Tutto era chiaro, estremamente chiaro, sin dall’inizio; ma non ne abbiamo tenuto conto. Abbiamo forse ceduto a illusioni di libertà individuale, di vita aperta, di infinità dei possibili? È probabile, quelle idee erano nello spirito del tempo; […] ci siamo limitati a conformarci a esse, a lasciarcene distruggere; e poi, per molto tempo, a soffrirne”.

Michel Houellebecq, “Serotonina

È stata la narrazione liberale, insieme alla fede assoluta nel libero mercato e nella scienza, a distruggere l’uomo. L’utilizzo indiscriminato di tecnologie senza etica ha portato alla distruzione dell’ecosistema. Il benessere diffuso ha fatto dimenticare all’uomo Dio. E l’unica maniera in cui è ancora possibile smuovere i cuori è attraverso la testimonianza. Quest’ultimo capitolo, brevissimo, stravolge il senso complessivo dell’opera.

La consapevolezza, raggiunta quasi per caso, porta Florent-Claude (o forse Houellebecq stesso) a credere con una forza assente nel resto del libro in qualcosa. Questa certezza è la speranza, che, come una mano, lo afferra saldamente: da quel momento il peggio è passato. Non resta altro che riprendere il faticoso cammino verso la felicità.

Il finale di Serotonina è sorprendente: proprio quando nessuno più l'aspettava, compare, inattesa, la redenzione.
Sopra immagine di kieferpix da GettyImages, rielaborazione grafica di Francesco Faccioli.

Francesco Faccioli

(Link all’immagine di copertina )

Sull'autore

Nato nel 2001, vivo in montagna – e vista l'aria che tira non ho fretta di trasferirmi. Con ogni probabilità sono l'unico studente di Lettere Antiche ad apprezzare sia Tha Supreme che Beethoven. Da fuori posso sembrare burbero, ma in realtà sono il più buono (e modesto) della redazione.
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