Nel 2007 è stata istituita per volere dell’Unione Europea la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia, la transfobia, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti di queste realtà e della necessità di tutelarle. Il giorno scelto, il 17 maggio, non è casuale: proprio in questa data, nel 1990, l’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) ha depennato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.
Qual era la situazione italiana nel 2007? Mentre molti altri paesi dell’Unione Europea avevano già affrontato questa tematica, l’Italia si ritrovava solo con proposte di legge mai discusse. Per la precisione trenta a partire dal 1987, quando Arcigay aveva presentato in Parlamento la “Legge per il riconoscimento legale delle convivenze di fatto”. Il silenzio che accoglieva il disegno di ogni nuovo decreto proposto rappresenta bene lo spirito con cui la politica italiana sembra essersi approcciata al tema dell’identità di genere e all’orientamento sessuale per molti anni: una questione estranea allo Stato e al suo corpo di leggi, riguardante più che altro la sfera morale e religiosa. Ad esclusione di poche eccezioni, questo problema è stato seriamente affrontato per la prima volta con il ddl Cirinnà, approvato l’11 maggio 2016. Questo decreto ha regolamentato le unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplinato la loro convivenza.
Il ddl Cirinnà prevede che:
- La convivenza di fatto viene riconosciuta alle coppie di maggiorenni che vivono insieme senza aver contratto un matrimonio o un’unione civile, sia eterosessuali sia omosessuali.
- I conviventi hanno gli stessi diritti dei coniugi in caso di detenzione, di malattia o di ricovero.
- Ciascun convivente può designare l’altro come suo rappresentante per le decisioni in materia di salute o in caso di morte.
- In caso di decesso del convivente che ha la proprietà della casa comune, il partner ha il diritto di stare nell’abitazione per un periodo che non superi i cinque anni.
- I conviventi possono stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali tra di loro.
- In caso di fine della convivenza di fatto, il giudice può riconoscere a uno dei due conviventi il diritto agli alimenti.
Le numerose modifiche apportate al decreto durante la discussione, durata mesi, comprendono l’eliminazione della parte dell’articolo 5 che regolamentava la stepchild adoption. Con il ddl Cirinnà, l’Italia si è classificata l’ultimo paese dell’Europa occidentale ad approvare una legge su queste tematiche. In Italia, inoltre, manca ancora un decreto che punisca l’omofobia: la proposta di ampliamento della legge Mulino-Reale riguardo all’odio discriminante sulla base dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale è ferma al Senato dal 2013.
Questa è quindi la situazione italiana ad oggi riguardo alla comunità LGBT+, dal punto di vista legale e governativo. Ma cosa ne pensa davvero l’opinione pubblica? Secondo una statistica di Arcigay, ogni anno si verificano più di 100 episodi di abusi (violenza fisica, verbale o discriminazione) sulla base dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, prendendo in considerazione solo i fatti denunciati o segnalati.
Esiste una Gay Help Line che offre aiuto e sostegno psicologico alle vittime di questi abusi: dal 2006 più di 220 mila persone hanno fatto uso del servizio. Le chiamate arrivano per quasi il 50% dal centro Italia e segnalano per la maggior parte discriminazioni sul posto di lavoro, a partire dai piccoli atti da parte di colleghi fino al non essere assunti o avere la carriera sbarrata per la propria identità di genere (si tratta infatti soprattutto di discriminazioni nei confronti di transessuali). L’OMS ha stimato che il 5% della popolazione mondiale e in particolare oltre un milione di lavoratori italiani non si sentono liberi di fare coming out per paura di ripercussioni in ambito lavorativo. La discriminazione può essere diretta o indiretta: nel primo caso, il lavoratore LGBT è trattato peggio che gli altri in situazioni analoghe; il secondo, ben più diffuso, si verifica quando le decisioni prese creano una situazione svantaggiosa per il lavoratore LGBT. Infine ci sono le molestie, ovvero offese continue da parte dei colleghi o dei superiori. Il 19% dei lavoratori LGBT dichiara di avere subito un trattamento ingiusto sul posto di lavoro.
In questo ambito, come in quello della discriminazione in generale, l’Italia è lontana dai valori positivi registrati in Gran Bretagna, Olanda e Scandinavia, ma anche da quelli negativi di Ucraina, Russia e Polonia, dove la percentuale di lavoratori LGBT discriminati raggiunge il 60%. Secondo i dati di Pew Global Attitudes Project 2013, circa il 75% degli italiani intervistati ha risposto concordando con l’affermazione “l’omosessualità dovrebbe essere accettata dalla società”. Valori simili si registrano in Francia e Regno Unito, mentre superiori solo il Germania e in Spagna.
Un esempio recente che in ambito italiano concorda con questa stima è l’elezione a sindaco di Tromello, un paesino in provincia di Pavia con meno di 4000 abitanti, di Gianmarco Negri, con il 37,54% dei voti a favore. Negri, un avvocato di 40 anni, è nato donna e ora è uomo, ma nonostante questo la maggioranza dei suoi concittadini ha deciso di affidargli la guida del paesino. “Tromello non mi ha scelto perché sono trans ma per la lista e il programma”, dice Negri.
Come ogni tipo di discriminazione, anche quella contro la comunità LGBT+ non si trova sotto gli occhi di tutti, ma questo non vuol dire che non si verifichi. Spesso l’indifferenza e il disinteresse della società, o addirittura dello Stato, contribuiscono ad ampliare il fenomeno, rendendolo allo stesso tempo meno evidente. Per questo la comunità LGBT+ organizza ormai da anni i Pride, manifestazioni che mirano a rendere le persone consapevoli e per quanto possibile partecipi di questa realtà che esiste e, come ogni altra, non va ignorata.
Clarice Agostini