Cultura

Pride Month – L’amore non ha etichette

La necessità di etichettare qualunque realtà o situazione che accada intorno a noi è insita nell’insicurezza umana. Etichettare può significare voler mettere ordine per fare chiarezza su argomenti che non si possiedono, che sono confusi e a cui vorremmo dare un nome per sentirci più a nostro agio, ma spesso le etichette finiscono per incasellare e incastrare tra paletti troppo stretti concetti che hanno margini ben più ampi e opinabili; così facendo si incorre nel rischio della nascita di radicati stereotipi che per mancata volontà di approfondimento diventano luogo comune.

La tendenza a fare di tutta l’erba un fascio ardisce a farci cadere in un’arretratezza a dir poco medievale, motivo per cui oggi, sulla scia di una serie di articoli a tema Pride,  facciamo un po’ di informazione su qualche aspetto della grande e coloratissima comunità LGBTQ+. Si tratta di un termine che abbraccia moltissime delle realtà che non rientrano nell’eterosessualità: omosessuali sia di genere femminile (L, lesbiche) che maschile (G, gay), bisessuali (B), transessuali (T), queer, questioning (Q) e moltissime altre identità (+).

Prima di partire, come già troviamo nel “Vocabolario pronto all’uso” di Alice Buselli, va fatta una distinzione tra cosa si intende per identità di genere e cosa per orientamento sessuale, ponendo come assioma imprescindibile il fatto che sia l’una che l’altro non si scelgono arbitrariamente. L’orientamento sessuale fa riferimento al genere verso il quale si è attratti, dunque si può essere omosessuali (attratti dallo stesso sesso), bisessuali (attratti da entrambi i sessi) o eterosessuali (attratti dal sesso opposto). L’identità di genere, invece, si configura lungo un asse differente i cui termini discriminanti sono quelli della donna, del genderqueer (o genere non-binario) e dell’uomo.

Più nello specifico diciamo che per identità di genere si intende l’immagine che un individuo ha di sé come maschile, femminile o di altro tipo, al di là dell’aspetto biologico. Dunque, quando l’identità di genere coincide con il sesso biologico si parla di cisessualità. Ad esempio una donna che nasce donna e si riconosce nel genere femminile è una cisgender, allo stesso modo un uomo che nasce uomo e si sente a proprio agio con il proprio genere biologico è un cisgender.

Al contrario, nel caso in cui degli individui non riconoscano la propria identità di genere nel sesso assegnato loro alla nascita, si parla di transessualità, che si muove in due direzioni. La prima vede alcuni individui biologicamente maschi che si ritengono prevalentemente femmine (Male to Female, MtF) e la seconda riguarda persone che biologicamente sono femmine ma guardano a se stesse in termini maschili (Female to Male, FtM).

Oltre a queste differenziazioni, come precedentemente accennato, esistono casi in cui alcune persone si identificano in una combinazione dei due generi oppure non percepiscono il proprio né come maschile né come femminile. È per questa ragione che si ritengono appartenenti a un terzo genere, rifiutando ogni etichetta e l’idea per cui nel mondo esistano soltanto due generi determinati sulla base del sesso della persona. Si tratta del genere non-binario o più comunemente dei genderqueer (o queer).

Queste varie definizioni e inquadrature rappresentano soltanto una minima parte delle diversità presenti all’interno della nostra società e come l’omosessualità anche la condizione transgender è stata nel corso del tempo soggetta a umiliazioni, accuse e torture aberranti, e tuttora è al centro di discussioni e scontri senza che manchino pregiudizi e discriminazioni. Ed è per questo che diventa fondamentale portare alla luce il fatto che anche storicamente, sin dal 1979, ricercatori e studiosi hanno evidenziato l’importanza dei fattori cromosomici e genetici nell’influenzare il genere, a discapito della credenza comune che si trattasse di influenze derivanti dall’ambiente e dalla cultura.

Uno degli studi più approfonditi è stato effettuato su un nucleo dell’ipotalamo (il letto della stria terminalis, BST), che gioca un ruolo essenziale nel comportamento e nelle pulsioni sessuali. In particolare lo studio si è rivolto nei soggetti transessuali a una particolare categoria di neuroni che producono la somatostatina, un neuropeptide che può esercitare effetti sia eccitatori sia inibitori sull’attività neuronale e sul rilascio di neurotrasmettitori. Negli uomini i neuroni che producono somatostatina sono circa il doppio rispetto alle donne. Nei transessuali biologicamente maschi (MtF) il numero di neuroni nel BST è simile a quello che esiste nelle donne (ossia circa la metà rispetto a quanto si verifica nei maschi cisgender, a proprio agio con il genere assegnato alla nascita). Al contrario, nelle femmine biologicamente transessuali (FtM) i neuroni che producono somatostatina sono circa il doppio, quindi la situazione è simile a quanto si verifica nei maschi.

Insieme a questo studio, numerosi altri dati ottenuti da ulteriori ricerche rappresentano prove neurobiologiche delle alterazioni di genere e indicano come la condizione transessuale sia dovuta a un insieme di fattori biologici che possono esercitare un ruolo rilevante nel determinare l’identità di genere ed eventualmente spingere le persone che non si ritrovano nel proprio sesso non soltanto verso terapie ormonali ma anche verso interventi medico-chirurgici che modifichino le caratteristiche dei loro organi genitali.

Sensibilizzare le persone sui temi quali l’uguaglianza, la parità di diritti, la libertà di essere quello che si vuole senza timore di venire discriminati, potrà far evolvere la nostra società verso la comprensione e la condivisione. La disinformazione e la mancata educazione alla diversità portano la maggior parte a vedere la realtà come bianca e nera, come se bene e male fossero separati da una netta linea inconfutabile; eppure il nostro è storicamente un paese di cultura e come tale dovremmo saper interpretare le nostre diversità come ricchezze. Ognuno di noi dovrebbe sforzarsi, a partire dal proprio piccolo, di rispettare l’altro, di fare del bene perché se la smettiamo di essere alla continua ricerca di un “nemico”, si alimenterà l’odio e dimenticheremo il significato della parola “pace”.

I Pride sono manifestazioni colorate di amore e di parità, non esistono etichette, siamo tutti esseri umani, non dimentichiamocelo.

Sara Carenza

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