
La tecnologia, dal più piccolo auricolare smart all’automobile che guida senza l’intervento umano, è entrata da qualche anno nel nostro quotidiano nella maniera più semplice e celata, forse anche subdola; basterebbe disporre di sufficienti risorse economiche per farne uso. Ma in quale tipo di conseguenze possiamo incorrere quando si verifica una tale riduzione delle nostre facoltà più naturali, della nostra intelligenza, della nostra umanità? Siamo incredibilmente stupendi, creativi, geniali, sognatori, abbiamo inesauribili potenzialità e sì, commettiamo errori, errare umanum est, ma perché abbattere tutto quello che c’è di buono in noi e ridurlo a un semplice mucchio di ingranaggi e automatismi? Il fine ultimo delle più grandi innovazioni del nostro tempo è soltanto quello di evitarci di sbagliare?
A dire il vero anche le macchine sbagliano e, diversamente da noi, sono programmate, limitate, non provano sentimenti, non ci permettono di ampliare le nostre menti e di essere stimolati produttivamente ma è qui che potremmo cadere nell’errore. Le macchine, i computer non sono stati costruiti per questo, piuttosto quell’alienazione che producono è stata forse una conseguenza accidentale. Umberto Eco diceva che il computer“non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti” per cui siamo noi ad utilizzarli nella maniera errata ed è questo che può indurre a pensarli diabolici strumenti del male.
Il vero scopo dei grandi prodotti del progresso tecnologico è fungere da supporto, mezzo attraverso il quale noi possiamo raggiungere determinati obiettivi. Tuttavia, specie ai bambini – i più esposti ai loro più temibili effetti – si cedono certi strumenti per mero intrattenimento. Non c’è errore più doloso da parte di un genitore perché il mondo virtuale è responsabile di iniettare negli occhi e nelle menti dei più piccoli dati già preconfezionati, una e un’unica strada da percorrere. Le migliaia di possibilità che l’esperienza offre vengono annullate con un click, non viene stimolata la fantasia, i bambini non hanno l’incantevole, tutta umana possibilità di scegliere, sbagliare e magari imparare da quell’errore. Lo sviluppo della creatività viene inibito e il cervello si impigrisce e a pagarne lo scotto saranno gli adulti di domani.
Secondo John Dewey, filosofo e pedagogista statunitense, l’essere umano procede nella sua vita attraverso il metodo investigativo dell’intelligenza. In sostanza, per ciascun individuo, l’esperienza è il terreno di incontro tra l’organismo e l’ambiente e questi sono costantemente in reciproco adattamento. In altre parole, solo e soltanto l’esperienza permette questo adattamento, dunque l’essere umano può imparare solo se esperisce, solo se vive. Diventa facile dedurre a questo punto come molti problemi che si riscontrano oggi nei bambini e negli adolescenti derivino da un mancato adattamento in senso deweyano, causato proprio da un mondo virtuale che ipnotizza, appiattisce le più diverse singolarità e che, paradossalmente, fa apparire il mondo esterno non all’altezza delle possibilità offerte da uno schermo.
Impedire all’individuo già dalla tenera età di esperire equivale a impedirgli di sviluppare il proprio stile cognitivo, e dunque a far crescere degli adolescenti infelici, inadatti, annoiati e, quel che è peggio, depressi. Un utilizzo scorretto e inappropriato di un social network o in generale di un dispositivo digitale induce la nascita di preoccupanti disturbi come la nomofobia, che provoca sensazioni simili ad attacchi di panico per paura di rimanere sconnessi dalla rete; aggressività; disturbi del sonno e dissociativi; forme di alienazione sociale di disinteresse per gli impegni e per le relazioni. La comodità apparente che possiede una scatoletta virtuale astrae ogni persona da quello che di umano la circonda. La priva dell’efficacia formativa di un ginocchio sbucciato, di un gruppo di amici che giocano a palla e che si confrontano. È necessario porre i più piccoli nella condizione di non avere paura di esperire ed esprimere il proprio punto di vista perché solo attraverso lo scontro cognitivo e la partecipazione sociale si vive e non ci si lascia alienare. Il confronto tra idee differenti comporta sempre e inevitabilmente una crescita ed è per questo che un bambino sano che cresce e si scontra costantemente con il reale chiede “perché”.
Negli Stati Uniti i primi a rendere conto dei preoccupanti effetti dati dal contatto con il mondo virtuale sono stati gli stessi che avevano inventato quel tipo di tecnologia, tra i primi Bill Gates e Steve Jobs. Questi, ben consapevoli dei gravosi problemi in cui si può incorrere esponendo i più piccoli a ogni sorta di device, limitarono ai propri figli l’esposizione a tali seducenti supporti.
Già nel 1974 Isaac Asimov, scrittore e biochimico russo naturalizzato statunitense, durante una conferenza sul futuro dell’umanità, propose agli astanti un’osservazione: “I ragazzini sono tutt’altro che stupidi […] ma per loro andare a scuola rappresenta un peso. Ciò che loro comprendono crescendo è che la ricompensa per essere cresciuti sarà il non andare più a scuola, il non dover aprire mai più un libro, il non imparare qualsiasi nozione, non dover mai più formulare un pensiero. Si insegna così che una volta cresciuti, i nostri figli potranno diventare stupidi per il resto della loro vita”. L’avvento degli smartphone e la mancata conoscenza dei loro rischi non hanno fatto altro che aggravare una situazione che già di per sé era problematica. Ci troviamo di fronte a valori deturpati, a sani principi profanati e ad una disinformazione che non fa altro che alimentare nuove forme di analfabetismo, soprattutto emotivo.
È un sistema che va necessariamente abbattuto, bisogna pensare all’educazione come ad un compito che non viene mai completato, ad un processo continuo e tutti dobbiamo riconoscere che l’apprendimento è “la cosa per la quale siamo maggiormente adatti. È piacevole. […] Anche quelli meno portati verso lo studio scolastico imparano le cose che gli piacciono: il miglior modo di giocare a bowling, i punteggi delle partite. Quello che vogliono imparare lo imparano con grande facilità.” È importante allora sfruttare questa nostra predisposizione e mettersi in gioco perché “il processo di apprendimento è l’attività incantevole di una vita intera”.
Che si promuovano dunque la cultura, la lettura, le passeggiate all’aria aperta, che si sperimentino l’attesa, la fatica, la delusione e la gioia e che si lasci che ognuno si senta libero di essere libero. È importante crescere con una sana consapevolezza di sé prima di potersi affacciare al mondo e vivere al passo con esso, forti di poter imparare dai propri errori e guardare avanti con grinta e aspirazione.
Il progresso tecnologico è fondamentale tanto quanto lo è una educazione cosciente ai suoi prodotti. Le macchine e i dispositivi forniscono un supporto non indifferente che ci permette di gran lunga di migliorare la nostra qualità di vita, ma bisogna tenere a mente e mai sminuire la nostra umanità, il nostro saper essere solidali ed empatici senza fonte di giudizio o pregiudizio.
La famiglia, la scuola hanno un ruolo primario e necessario per l’esemplare formazione di esseri umani sereni di vivere la loro vita. La cultura consente una lettura critica del mondo e impedisce una sua interpretazione superficiale. Essa approfondisce, confronta, analizza per poi comprendere e, soltanto dopo, ci permette di elaborare un pensiero nostro, originale, nuovo, che si traduca in informazione libera da preconcetti. Allora facciamo dello studio un compagno di vita, non fermiamoci a idealizzare il futuro che vorremmo per noi e per quelli che verranno ma sforziamoci di essere concreti, di agire, di guardare quell’utopia come ad una possibilità. La realtà è piena di contraddizioni, è plurale e frammentata ma, se per un momento abbracciassimo l’idea che per trasformare la società è necessaria una trasformazione delle persone e se dessimo fiducia e credessimo nella potenzialità della molteplicità dei nostri pensieri, quell’utopia potrà davvero tradursi in possibilità di reale cambiamento.
Cerchiamo allora di diventare imprenditori della nostra crescita, protagonisti del cambiamento che vogliamo per noi stessi. Non deleghiamo, non abbandoniamoci al caso, abbattiamo la cultura del poi si vedrà perché il volere ha in sé una prodigiosa potenza. Sfruttiamola.
Sara Carenza
(In copertina Виктория Бородинова, da Pixabay)