Cronaca

Emergenza climatica: quel che resta del pianeta Terra – Parte 2


L’emergenza climatica esiste e il dialogo con coloro che la negano, ritenendola impossibile, è una pazzia. Una pericolosa pazzia, visto che il mondo minacciato è la nostra casa, che meriterebbe di essere trattata come tale. L’ipocrisia di chi nasconde la testa sotto la sabbia, negando l’evidenza che li circonda, è quanto di più potenzialmente distruttivo possa esistere oggigiorno.


Come è possibile che di fronte all’evidente emergenza climatica si neghi l’urgenza di passare all’azione?

L’evidenza scientifica dovrebbe essere compresa senza i giudizi dei partiti politici che non riconoscono i propri limiti e si prodigano in ambiti che non gli competono, arrivando a negare principi scientifici semplici e solidi.

Le argomentazioni di coloro che si ostinano a negare la tangibilità dell’emergenza climatica, riprendendo le parole di Nicholas Stern nell’opera Un piano per salvare il pianeta, ricordano quelle di coloro che contestavano la connessione tra HIV e AIDS, o quella tra il vizio del fumo e il cancro ai polmoni.

È giunto ormai il momento di abbandonare la posizione tenuta nello scontro politico per accettare una schiacciante evidenza scientifica.

Tutto questo dovrebbe essere sufficiente a liberarci da quella “macchina del fango poderosa, ramificata e ben organizzata” del negazionismo, così descritta da Damiano Di Simine e Marzio Marzorati di Legambiente Lombardia.

Emergenza climatica
Immagine da Unsplash.

Un meccanismo, quello che contrasta l’avanzamento delle conoscenze nell’ambito del cambiamento climatico, che non minaccia semplicemente il nostro pianeta, ma la nostra casa: non basterebbe questo come imperativo morale per intervenire, cercando di salvare il futuro nostro e delle generazioni che verranno dopo di noi? L’idea che i nostri figli e i nostri nipoti non avranno mai l’opportunità di rimanere esterrefatti di fronte alle meraviglie della barriera corallina, o che avranno più plastica che pesci nei loro mari, non dovrebbe spingerci ad agire con solida determinazione?

L’emergenza climatica: una lotta contro il tempo

Il cambiamento climatico potrebbe essere visto come una duplice battaglia, contro coloro che lo negano e contro il tempo che ci è concesso per porvi rimedio. Due battaglie che necessitano di impegno costante, che parta dal basso, dalle singole azioni di ogni cittadino, sostenute poi da quelle mondiali, a livello planetario.

Pensare che l’azione del singolo membro della comunità sia irrilevante nei confronti di un titanico colosso come la questione dei cambiamenti climatici è ciò che di più sbagliato ci possa essere. Non è stata raggiunta la vetta di nessuna montagna se non partendo dalla pianura alla sua base, nessuna scultura è nata senza un primo e incerto colpo di scalpello. Ogni azione, per quanto contenuta, è potenzialmente significativa. La battaglia contro il negazionismo è, come in tanti ambiti (basti pensare al tema dei vaccini), il maggiore ostacolo per una generale e salda consapevolezza ma, come si suol dire, ‘il gioco vale la candela’.

Pensare di porre fine subitaneamente al processo altro non è che una bieca illusione, poiché i sistemi naturali presentano una inerzia che li porta a essere significativamente lenti sia nel modificarsi, sia nel tornare alle condizioni precedenti. Ma ridurre le emissioni, puntando a una loro primaria stabilizzazione e a una successiva diminuzione, sarebbe un obiettivo più che realistico.

Questo sviluppo sostenibile sarà efficace qualora gli si concederà tempo di affermarsi, tempo di cui ormai siamo privi: vi è dunque la necessità di “prendere il timone del bastimento governato oggi da capitani irresponsabili”, riprendendo le parole del saggista Hervé Kempf nell’opera Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta.

Questione di priorità

È necessario scindere quello che è il vero sviluppo sostenibile dal puro e nocivo mantenimento dei profitti, che ci porta a modificare a malapena la direzione delle nostre abitudini, millantando un cambiamento. Bisognerebbe individuare la vera priorità: la direzione giusta, che potrebbe permetterci di raggiungere la salvezza, o il profitto? In altri termini, vita o morte? Vivere o sopravvivere fino a un inevitabile epilogo?

Tristemente, in un mondo come quello dell’informazione, alla spasmodica ricerca di notizie, dove a far da padroni sono i dibattiti economici e politici, l’attenzione riservata alle questioni ecologiche si trova circoscritta in uno spazio ristretto, nel quale farsi spazio ed emergere appare un tentativo assai complesso.

Ed è per questo che sempre più i social media e le piattaforme televisive, come le assemblee e le manifestazioni popolari a livello globale, si fanno portatori di messaggi e proposte di stampo ecologico e ambientalistico. Se i giornali avranno da parlare di governo britannico e politiche statunitensi, saranno le piazze a trattare del clima.

Se i telegiornali affronteranno gli accordi socio-economici e le elezioni ministeriali, saranno gli altri palinsesti a portare la questione ambientale alle orecchie e agli occhi di tutti. Citando la trasmissione “Le Iene” e i servizi di Gaston Zama sull’emergenza plastica, o le marce della piccola Greta, abbiamo modo di vedere alcune delle vie alternative che hanno tentato di portare all’attenzione, dell’Italia o del mondo intero, una questione che necessita la massima cautela e considerazione.

Emergenza climatica
Immagine da Unsplash.

Osserviamo sempre di più una democratizzazione del caso, che dai laboratori entra nelle case, dai libri di scienze scende in piazza, raggiunge coloro che hanno sempre riscontrato il problema, ma per un cocktail letale di inerzia e ignoranza rimanevano con le braccia conserte. Anche se voi vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti”: così cantava Fabrizio De André nel 1968, in un “mea culpa” che risuona estremamente attuale e affine all’oscurantismo moderno. 

Nel disastro ambientale che vediamo realizzarsi sotto i nostri occhi, all’indolente ignavia dei potenti si somma la nostra immobilità, dettata dall’ignoranza, che ci ha portato per troppo tempo ad astenerci colpevolmente dall’intervenire.

Il momento della società civile

I ‘laici’, i ‘profani’ in ambito scientifico, vengono ora a contatto non con teorie quantistiche o leggi astruse, ma con una sistematica distruzione che vede protagonista il loro pianeta, per il quale possono agire concretamente, per quanto in piccolo. Correggere il passato non è possibile, provare a migliorarsi per il futuro lo è, e non costa molto. Chi ha i grandi numeri e mezzi dovrà agire in ampia scala, mentre il resto del mondo dovrà porsi come imperativo quello di fare il possibile.

Come non lasceremmo mai la porta di casa aperta, alla mercé dei ladri, con il rischio che questi entrino e si approprino di tutto ciò che è nostro, così, allo stesso modo, non dobbiamo permettere a quel ladro che è il denaro, a quei ladri che sono le bieche politiche economiche di sfruttamento, di sottrarci ciò che ci appartiene, di far loro ciò che costituisce la nostra casa, la nostra identità.

E poiché non basta un colpo di spugna per cancellare secoli di nocive emissioni, deforestazioni selvagge, sprechi dalle dimensioni terrificanti, è nell’azione del singolo che risiede la speranza di riscatto. Prima che il sipario si chiuda, una volta per tutte, noi attori abbiamo ancora modo di salvare lo spettacolo, e di meritarci un ultimo applauso.

Tornare indietro è impossibile, impegnarsi per andare avanti e risollevarsi non lo è. Non siamo alla fine della corsa, non è l’ultima fermata, ma è l’ennesima opportunità che il mondo ci concede per toccare con mano una situazione figlia degli sbagli e delle inconsapevolezze dei secoli precedenti. L’ennesima opportunità di porvi rimedio: ma se il mondo è stato fin troppo generoso, offrendoci continue occasioni per fermare il nostro comportamento scellerato, è pur vero che tale magnanimità dovrà prima o poi esaurirsi, nel momento in cui sarà troppo tardi.

Per quanto drammaticamente fioco, uno spiraglio di luce è presente, e sta a noi cercare di raggiungerlo, per riportare limpidezza in un mondo in cui il cieco opportunismo e l’avidità ci hanno portato a una buia condizione di dubbio e paura. Paura di non avere abbastanza tempo, paura di vedersi scivolare via tutto ciò che ci circonda, con la consapevolezza di non aver fatto abbastanza per “salvare il salvabile”, per impedire la catastrofe.

Facciamo di questa paura la spinta propulsiva del nostro operato, facciamoci guidare dall’ardente desiderio di riprenderci il mondo, dalla voglia di consegnarlo alle future generazioni come un luogo degno di essere definito casa. È la nostra più grande eredità, e dobbiamo averne cura.

Per noi e per chi verrà, per la nostra casa e per tutti coloro che vi abiteranno e che vi troveranno riparo.

Michela Bronzi

(In copertina Free-Photos, da Pixabay)


Per approfondire, leggi anche la prima parte e scopri il percorso tematico Ambiente!

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