
“Ora tocca a voi”. È questo l’epilogo del conciso resoconto riguardo i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale di Tim Flannery, dal titolo Breve storia del clima. Un centinaio di pagine che illustrano i passi concreti da compiere per evitare quel disastro ecologico con il quale le future generazioni dovranno convivere, le stesse pagine da cui ho deciso di partire per questa trattazione. Un invito, quello di Flannery, che ci dovrebbe scuotere dall’inerzia del nostro continuo ignorare il problema, del nostro aggirare gli ostacoli, senza guardarci intorno.
La decisione di trascurare le conseguenze delle nostre azioni ci ha portato a entrare in collisione con l’ecosistema planetario, che vediamo soccombere sotto il peso delle profonde alterazioni caratterizzate da un ritmo pericoloso e martellante. Possiamo propriamente parlare di emergenza planetaria che incalza gli uomini, che è indifferente alle continue preghiere chi si trova sopraffatto dalla valanga. Oceani sempre più caldi, tempeste più impetuose, selvaggi incendi da domare, ghiacciai che vanno via via scomparendo e deserti che aumentano le loro dimensioni ogni giorno che passa: queste sono solo alcune delle conseguenze di quella serie di ritardi, procrastinazioni ed espedienti di cui gli uomini si sono serviti nella speranza di differire l’inevitabile, affidandosi al fatto che le ferite potessero in qualche modo rimarginarsi da sole. Anche i delicati equilibri ecologici sono fortemente minacciati da quel surriscaldamento, causa di mutazioni di paradigmi ormai millenari, la cui velocità della luce ha ormai completamente sostituito la gradualità del fenomeno.
Un campanello, questo progressivo surriscaldamento globale, che ha universalmente colpito il mondo scientifico, concorde nel definire questi mutamenti come la causa di un vero e proprio disastro planetario. Nonostante la drammatica incidenza del fenomeno, ancora non si è riusciti a convincere quelli che continuano a fare orecchie da mercante mentre la terra sotto i loro piedi si scalda, i mari si innalzano, gli animali che li circondano vengono a scomparire. E questa sordità, questa cecità di fronte a fatti ormai tangibili, da cos’altro potrebbe essere causata se non dal quel denaro regolatore, come una vile burattinaio, delle azioni dei potenti? I contestatori, di fronte alla schiacciante evidenza, urlata a gran voce dagli scienziati e toccata con mano da tutti coloro che abitano il pianeta, hanno dovuto cambiare tattica, riconoscendo il cambiamento climatico, ma soltanto come fenomeno dovuto a cause naturali, o ponendosi a braccia conserte per ammirare il mondo che collassa su se stesso, con la scusa che “tanto non ci si può fare niente”. O meglio, niente che non leda le loro politiche economiche ed industriali.
Ma è lecito individuare quali siano le motivazioni di cui questi negazionisti si fanno forti, riscontrabili in pubblicazioni come Le bugie degli ambientalisti di Riccardo Cascioli e Antonio Gaspari. Una documentazione che individua tutti quei disperati SOS gridati a gran voce da quegli ambientalisti definiti come “votati al catastrofismo” e da organizzazioni che profetizzano una sempre più prossima ed impellente fine del mondo. Una serie di continue smentite che, a partire da quelle che vengono individuate come minacce planetarie da ecologisti e ambientalisti, restituiscono un quadro assai più roseo di quello che invece si prospetta ogni giorno al nostro sguardo. La deforestazione viene così causata da una significativa crescita boschiva, mentre le massicce estinzioni vengono smentite con l’incessante scoperta di nuove specie. Chi sostiene queste teorie e si oppone all’infondato terrore di un disastro ambientale sostiene che gli ecologisti tendono a esasperare oltre ogni modo qualsiasi problema di carattere ambientale, con un approccio culturale che avrebbe portato a un diffuso pessimismo, alla criminalizzazione dello sviluppo economico in quanto causa primaria di ogni inquinamento, a un catastrofico terrore nei confronti dell’inevitabile. Ma è poi così infondata questa viscerale paura? È vero che tutti i dati che ci sono forniti peccano di eccessivo pessimismo, o sono forse i negazionisti a sottostimare il problema? La componente dell’incertezza che necessariamente è insita all’interno di ogni ricerca sperimentale sembrerebbe sufficiente a sottovalutare quelli che sono dati sempre più tangibili e impellenti. Tra gli errori più comuni a proposito del surriscaldamento globale, presentati dall’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore in Una scomoda verità, troviamo ad esempio la convinzione che il mutamento climatico sia qualcosa di ormai irreversibile e sul quale l’uomo non possa più intervenire in alcun modo. Non potrebbe esistere pensiero più sbagliato e distruttivo, perché mediante iniziative sia a livello governativo che individuale è possibile fare qualcosa per “salvare il salvabile”, a patto che si agisca subito. C’è chi poi chi sostiene che i cambiamenti climatici porteranno a una più che positiva mitigazione delle temperature, con inverni meno rigidi, più temperati. È vero che alcune aree del nostro pianeta godranno di inverni più miti, ma l’impatto negativo globale supera di gran lunga i potenziali benefici locali. Se da una parte avremo un inverno meno gelido, dalle temperature più elevate, dall’altra questo innalzamento porterà alla morte delle barriere coralline, riserve fondamentali di cibo e riparo, all’innalzamento del livello degli oceani con successive inondazioni nelle città costiere, che saranno costrette ad evacuare.
Alcuni di questi punti sono stati illustrati anche lo scorso novembre alla facoltà di Scienze della Terra dell’Università ‘La Sapienza’ di Roma, alla presentazione del saggio negazionista intitolato Clima: basta catastrofismi. Come è possibile leggere nel breve resoconto dell’incontro presentato dal giornalista scientifico Andrea Capocci, dal momento che le pubblicazioni negazioniste rappresentano meno di un esiguo 0.06% del totale, coloro che negano il cambiamento climatico si basano su quei concetti che vengono definiti ‘grandi classici’, convinzioni ormai assodate e sostenute a gran voce. Viene innanzitutto illustrata dal chimico Franco Battaglia la teoria del rallentamento del riscaldamento globale, sulla base di dati già però smentiti da analisi scientifiche più esaustive, che hanno invece riscontrato un incessante progredire dal ritmo sostenuto ed incalzante. Altro grande classico, questa volta supportato dal docente universitario napoletano Nicola Scafetta, è quello a sostegno della variabilità climatica naturale, che contraddice il modello dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) votato invece di un riscaldamento “man-made”, di natura antropica. Per quanto sia infatti indubbio che l’attività vulcanica naturale, le influenze solari che regolano il sistema delle nubi e le cicliche posizioni orbitali abbiano una influenza sulle naturali emissioni di CO2, il drammatico riscaldamento climatico attuale vede prevalere di gran lunga il fattore umano. È difatti l’attività antropica ad aver accelerato il processo in un tempo geologicamente brevissimo, con conseguenze difficilmente causabili dalle sole influenze naturali, esponenzialmente velocizzate invece da attività umane dalle alte emissioni. A proposito interviene l’economista Mario Giaccio, che dedica il suo intervento all’Emission Trading System (ETS), il mercato delle emissioni con cui l’Unione Europea ha cercato di limitare tutte quelle attività economiche che portavano ad ingenti emissioni di CO2. Giaccio ne denuncia la debolezza, dipingendo l’ETS come un complotto ordito dalla finanza per distruggere l’industria europea a tutto vantaggio della Cina, tesi sostenuta anche da Donald Trump. È infatti emerso in più di una dichiarazione che il presidente ritiene il riscaldamento globale una “invenzione creata da e per i cinesi, allo scopo di rendere la produzione degli Stati Uniti non competitiva“, un complotto di stampo economico che nasconderebbe naturali oscillazioni climatiche e meteorologiche dietro catastrofici allarmismi. Difficile dimenticare interventi presso le più affollate piazze del mondo quali “se davvero esistesse il riscaldamento globale, non staremmo patendo questo freddo”. Affermazione più che discutibile, dal potere potenzialmente distruttivo, in quanto pronunciata da uno dei più importanti leader della Terra, che si è ultimamente reso protagonista di rescissioni di contratti sulla tutela ambientale. Una ignoranza, quella salita al potere, bene attenta a preservare e salvaguardare i soli interessi economici (nel caso americano, quelli della tanto redditizia quanto inquinante industria fossile) a scapito dell’ambiente che ci circonda.
La mancanza di conoscenza dei potenti, spesso privi delle minime nozioni di ecologia, li porta irrimediabilmente a sottovalutare le questioni sollevate da quella cultura a loro così estranea, puntando l’attenzione e privilegiando invece quelle in cui si vedono assai più competente. Un’ignoranza esercitata dalla “setta mondiale degli avidi”, che minaccia il pianeta, protagonista di una sfida completamente nuova, ponendosi come suo principale ostacolo. Viene così a determinarsi una dilapidazione delle speranze per le generazioni a venire, sempre più destinate a un futuro fatto di irreversibilità e opportunità buttate al vento, per mano di una “oligarchia cieca”. O almeno, cieca dal loro portafoglio in poi. Una vera e propria condanna all’ecatombe, a cui le singole comunità provano a resistere, a porre rimedio – nel loro piccolo – con misure e “pratiche green” che non vengono però accompagnate da azioni radicali per mano di chi davvero avrebbe il potere di fare qualcosa, come il presidente americano. Usare meno l’automobile quanto peso potrà avere se la centrale nucleare dall’altra parte della strada continua a operare a pieno regime? La famiglia che rinuncia alla plastica preferendo il vetro perché più ecosostenibile, che impatto avrà in una cittadina dall’aria fetida, dalla “nuvol di morbi infetto” della Milano di Parini, vessata dai nocivi miasmi delle industrie?
Michela Bronzi
Continua nella seconda parte:
(In copertina Free-Photos, da Pixabay)