È stato un importante appuntamento elettorale quello del 31 marzo scorso in Turchia. Le elezioni amministrative hanno ufficialmente sancito il generale malcontento del popolo turco per le politiche messe in atto dall’attuale presidente Tayyip Erdogan: il suo partito, l’AKP, ha infatti perso il controllo delle due grandi metropoli simbolo del paese, ovvero Istanbul e Ankara. Sembra dunque che questa volta non abbia fatto presa l’intensa campagna propagandistica del presidente, a fronte di una pesante recessione economica (la lira turca da agosto ha perso circa il 40% del suo valore rispetto al dollaro e all’euro) con annessa forte diminuzione del potere d’acquisto del ceto medio; fattori che hanno sicuramente avuto particolare peso nelle scelte dell’elettorato all’interno dell’urna.
In tempo di campagna elettorale, in questi lunghi anni di dominio incontrastato, Erdogan non ha mai perso occasione per compattare lo zoccolo duro del suo elettorato, costituito in gran parte dall’islam più radicale e intransigente, attraverso mosse eclatanti, di chiaro stampo ideologico, al fine di infiammarne i sentimenti di rivalsa e orgoglio. In occasione delle presidenziali del giugno 2018, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook il video di una fenice, simboleggiante la rinascita di una Turchia ottomana, che attraversa le varie ere della storia del paese, tra un passato rappresentato da valorosi cavalieri e un presente e un futuro scanditi da progetti infrastrutturali moderni, sempre sotto lo sguardo attento della fenice, la quale, nell’ultima parte del filmato, osserva la Turchia dallo spazio, accanto ad un satellite. Se questa trovata elettorale, per quanto stravagante e avveniristica, può tutto sommato rientrare nelle corde di un leader politico così abile e navigato, ancora più incisivo è stato il messaggio lanciato da Erdogan in seguito alla strage nelle moschee neozelandesi. Dopo l’attacco, il presidente turco ha invitato il popolo islamico a tenere alta la guardia nei confronti del presunto pericolo di un suprematismo cristiano-occidentale, autoproclamandosi come ultimo baluardo nella nazione in grado di fronteggiare la minaccia che incomberebbe sul mondo islamico. Questo è un ulteriore segnale di come, anno dopo anno, la figura di Erdogan abbia assunto contorni dal carattere sempre più mistico, come se fosse portatore di un salvifico revanscismo delle origini. È dunque facile comprendere il motivo per cui Erdogan, nelle battute conclusive della campagna per le amministrative, si sia ancora una volta concentrato su tematiche religiose in ottica fortemente tradizionalista; la proposta che ha avanzato è infatti quella di rendere nuovamente moschea la basilica di Santa Sofia di Istanbul, oggi ufficialmente riconosciuta come museo, la cui storia è costellata di diversi avvenimenti.
La costruzione della basilica iniziò per volontà dell’imperatore romano Costantino, che la dedicò non ad una santa, ma a un concetto astratto, la “divina sapienza“. Nei secoli si sono succedute varie basiliche: la sorte delle prime due costruzioni fu decisamente nefasta, poiché entrambe vennero distrutte da due rovinosi incendi; mentre la terza e ultima versione, che possiamo ammirare oggi in tutta la sua maestosità, si deve all’opera dell’imperatore Giustiniano I. Per quasi mille anni, dal 537 d.C. al 1453, fu cattedrale ortodossa e sede del patriarca di Costantinopoli, nonché il luogo principale per le cerimonie imperiali dei sovrani bizantini, ad eccezione di un breve periodo che va dal 1204 al 1261, durante il quale divenne cattedrale cattolica di rito romano per opera dei crociati. Nel 1453 il sultano Maometto II assediò Costantinopoli, e in quell’occasione l’edificio venne profanato e saccheggiato: quando il sultano e la sua corte entrarono nella Chiesa, venne imposta la sua immediata trasformazione in moschea. Successivamente alla conquista di Costantinopoli, la basilica divenne la moschea ottomana “Aya Sofya” (Santa Sofia). La moschea venne sconsacrata solo nel 1935, dal fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Ataturk, fautore di una serie di politiche che possiamo definire occidentaliste e considerato il padre della Turchia laica e moderna, come dimostrano iniziative quali ad esempio l’abolizione del califfato e il controllo statale di tutte le organizzazioni religiose della nazione.
Le dichiarazioni sulla basilica di Santa Sofia, con cui Erdogan sembra continuare a seguire invece una linea ultra-conservatrice – in continuità col passato ottomano – hanno suscitato le critiche del Partito Popolare Repubblicano, il principale partito di opposizione, che considera inappropriata la scelta di riservare ai soli musulmani l’accesso a un sito patrimonio dell’UNESCO. Già nel recente passato si era discusso della possibilità di cambiare status alla basilica, ma finora nulla in tal senso era stato deciso. Solo il tempo dirà se la proposta di Erdogan è stata soltanto l’ennesima arma di distrazione di massa per sviare l’attenzione del popolo turco dai problemi economici che affliggono la nazione, oppure se si tratterà di un ulteriore passo verso l’islamizzazione della Turchia.
Stefano Giuffredi