Il Ministro dell’Interno Matteo Salvini ha recentemente dichiarato che non prenderà parte alle celebrazioni del 25 aprile, affermando che nel 2019 il derby fascisti – comunisti non può che interessargli poco. Al principale esponente della Lega si sono poi accodati tutti i colleghi di partito a cui sono affidate cariche istituzionali governative, mentre per quanto riguarda i sindaci e i presidenti di regione il discorso risulta essere un po’ più controverso: il Governatore del Veneto Luca Zaia, ad esempio, parteciperà regolarmente alle celebrazioni nella sua regione. Con lui, a Vittorio Veneto, ci sarà anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella; mentre il governatore della regione Lombardia Attilio Fontana parteciperà alle manifestazioni che avranno luogo a Varese. Al contrario, la sindaca di Levante sul Seveso, Laura Ferrari (Forza Italia), ha addirittura cancellato le celebrazioni con l’appoggio di Forza Nuova e di suo marito Massimiliano Romeo, attuale capogruppo della Lega al Senato.
Matteo Salvini, invece, in qualità di ministro dell’interno, il 25 aprile sarà a Corleone per una manifestazione antimafia. Un nobile intento, certamente apprezzabile, ma sarebbe stato altrettanto da apprezzare se lo stesso Salvini avesse dato maggiori e soprattutto più concreti chiarimenti sui presunti coinvolgimenti suoi e di altri membri del partito con alcuni ambienti che, se non del tutto provatamente illeciti, risultano quanto meno essere davvero molto, molto ambigui e probabilmente vicini alla mafia.
Premettendo che prendere parte ai festeggiamenti del 25 aprile sia un atto assolutamente e puramente legato alla coscienza civica (e morale) di ognuno di noi cittadini, non solo italiani ma anche stranieri residenti nel nostro Paese, non può che risultare alquanto singolare che a sminuire questa ricorrenza siano proprio alcuni importanti esponenti del governo.
Perché festeggiare il 25 aprile?
In questo giorno ricorre l’anniversario della Liberazione d’Italia dall’occupazione nazista, in quanto – nonostante il termine effettivo della Seconda Guerra Mondiale sul territorio italiano si ebbe soltanto il successivo 3 maggio – il 25 aprile 1945 la Resistenza arrivò all’apice della sua fase militare proclamando, attraverso un annuncio del futuro “presidente degli italiani”, Sandro Pertini, uno “sciopero generale contro l’occupazione tedesca, contro la guerra fascista, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine”.
Simbolicamente, questa data rappresenta dunque il primo passo verso la nascita della nostra Repubblica e verso ciò che (nel bene e nel male) siamo diventati oggi. Risulta infatti davvero difficile, se non a tratti addirittura spaventoso, immaginare cosa sarebbe successo nel secondo dopoguerra del secolo scorso e di conseguenza come sarebbe oggi il nostro presente senza gli avvenimenti di quel 25 aprile.
Questa data venne quindi dichiarata festa nazionale prima dal re Umberto II (su proposta dell’allora Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d’Italia Alcide De Gasperi) nel 1946 e poi nel 1949 dallo stesso De Gasperi, divenuto nel frattempo il primo Presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana.
De Gasperi sancì dunque l’importanza di coltivare, non soltanto dentro di noi ma anche attraverso la memoria collettiva del nostro Paese, il ricordo di ciò che accadde quel giorno. Ed è proprio per questo che chi ci rappresenta ricoprendo un incarico istituzionale all’interno della Repubblica dovrebbe non solo invitare gli altri cittadini a partecipare alle celebrazioni ma soprattutto prendervi parte in prima persona.
Può quindi avere senso paragonare queste celebrazioni ad un derby?
Interpretare correttamente ciò che accadde il 25 aprile 1945 non può che portarci a rispondere di no a questa domanda, in quanto quel giorno fu una data fondamentale per la conclusione della Seconda Guerra Mondiale in favore della Resistenza e considerare quest’ultima solo come un gruppo di comunisti che combattevano contro i fascisti è assolutamente ingeneroso, oltre che inesatto. La Resistenza non era composta soltanto da comunisti, ne faceva parte chiunque sentisse dentro di sé il bisogno e il coraggio di lottare per la libertà, la giustizia e la democrazia; e pertanto il 25 aprile non può essere affatto considerato come una ricorrenza “comunista”, perché è il simbolo di quella presa di posizione collettiva da parte del popolo italiano nei confronti di chi in quel momento tentava di opprimerlo. Dunque non potrà mai essere ridotto semplicemente ad un “derby”.
Ma allora a chi appartiene davvero il 25 aprile?
Piuttosto che a un derby, il 25 aprile assomiglia molto di più ad una partita della Nazionale: è un momento in cui tifare, o meglio, gioire tutti insieme, per il successo della squadra del nostro Paese, perché siamo tutti italiani a prescindere dal colore del “club” per cui ognuno di noi fa il tifo. Il 25 aprile non deve essere un giorno felice per chi indossa una maglia rossa e un giorno triste, o da rimpiangere, per chi ne indossa una nera: il 25 aprile è il giorno del tricolore, della maglia azzurra.
Duilio Rega