Cronaca

L’Aquila – 10 anni dopo

Lunedì 6 aprile 2009. Ore 3:32 del mattino. L’Aquila. Abruzzo. Una domenica dal sapore quasi pasquale si era appena conclusa. Gli adulti erano pronti a una nuova settimana lavorativa, mentre i ragazzi erano attesi da giorni estenuanti dietro ai banchi di scuola. Sembrava una notte tranquilla, silenziosa, in cui nulla poteva presagire ciò che in realtà sarebbe presto successo. Per venti secondi il cuore dell’Italia centrale venne attraversato da un rumore sordo e profondo. Si generò una profonda spaccatura di una faglia lungo la dorsale del Gran Sasso, nei pressi della conca aquilana. La terra iniziò a tremare, i palazzi a traballare, le persone si svegliarono di soprassalto nelle loro case e tentarono una disperata via di fuga. Furono attimi di terrore, paura, ansia, sgomento. Il luogo dove queste persone avevano vissuto fino ad allora – le loro abitazioni e i loro beni – stava cadendo a pezzi, buttato giù dalla furia devastatrice di un terremoto.

Dai sismografi di tutta Italia e del mondo venne percepita una scossa di magnitudo 5.9, successivamente rivista a 6.1. Una catastrofe. Alle prime luci del giorno, ai sopravvissuti L’Aquila si presentò quasi completamente distrutta; macerie dappertutto, e al di sotto, centinaia di persone. Si cominciò a scavare, con i mezzi che erano disponibili, in attesa dell’arrivo dei soccorsi. Alcuni vennero recuperati vivi e illesi nonostante tutto; altri invece vennero trovati gravemente feriti o schiacciati del peso di mattoni, blocchi in calcestruzzo, pezzi di intonaco. Per alcuni purtroppo non c’era più nulla da fare. La loro stessa abitazione, crollando sotto la forza distruttrice del terremoto, li aveva uccisi.

La notizia fece il giro del mondo in pochissimi minuti. Forze speciali si attrezzano e corsero a prestare soccorso e a dare una mano alle popolazione colpite dalla tragedia. Si continuò a scavare per giorni nel tentativo di recuperare quante più persone possibile e per scongiurare altri morti, il cui bilancio definitivo fu di 308, senza contare ovviamente le centinaia di feriti più o meno gravi. Ad esso si aggiunsero gli innumerevoli danni alle abitazioni, ai monumenti storici e alle opere artistiche, per un totale di oltre dieci miliardi di euro. Il 6 aprile 2009 è stata distrutta un’intera città e con essa le vite di molti dei suoi abitanti. I sopravvissuti in questi lunghi, lunghissimi dieci anni hanno provato a rialzarsi tenacemente, a non lasciare la loro città, lacerata da questa terribile piaga naturale, per non dimenticare le loro origini e le loro usanze.

A tutto questo fece seguito l’inizio di un periodo turbolento nell’area geologica dell’Italia centrale; negli anni successivi si sono registrate ulteriori scosse di magnitudo più bassa. Almeno fino al 24 agosto 2016, quando, in una notte di fine estate, la terrà ricominciò a tremare e rase al suolo la piccola cittadina di Amatrice, ad appena 50 chilometri di distanza da l’Aquila, seminando ancora una volta panico, terrore e sgomento, distruggendo abitazioni e monumenti e spezzando altre vite umane.

Sono passati dieci anni ma la ferita resta, insanabile, come una cicatrice, a ricordare quella disgrazia, ma soprattutto a rammentare, non solo agli abitanti di quelle zone ma anche e soprattutto a noi che viviamo in altre parti d’Italia, che queste tragedie possono accadere e che dobbiamo imparare ad uscirne più forti, con tenacia e determinazione e a non lasciarci soffocare dalla disperazione e dalla paura.

Stefano Maggio

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