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Hollywood e il problema della rappresentazione

Hollywood

La televisione è lo specchio della vita o la vita è lo specchio della televisione? E il cinema? Come si pongono Hollywood e l’industria cinematografica più importante del mondo sui temi dell’inclusività e della rappresentazione delle minoranze?


Un cinema più… “inclusivo”?

Negli ultimi tempi, il grande schermo prima e quello piccolo poi sono diventati molto più di un semplice mezzo di intrattenimento. I film ora sono parte della nostra identità collettiva, i loro personaggi sono gli eroi moderni in cui ci rivediamo o che aspiriamo a diventare; attraverso di loro i registi e gli sceneggiatori tentano di far passare messaggi morali, sociali e politici. È abbastanza scontato dire che ognuno di noi si identifica nel soggetto che sente più simile a sé: un ragazzino imbranato dai capelli rossi si rivedrà in Ron Weasley, mentre un appassionato di danza sognerà di entrare in una scuola come quella di Step-Up.

Purtroppo, i personaggi in cui riflettersi calano drasticamente se si è membri di qualche minoranza etnica o sociale. Ricordo quando vidi in TV Tiana de La Principessa e il Ranocchio, il primo cartone Disney con una principessa afroamericana. Era il 2009. Mi chiedevo come fosse possibile che una delle case di produzione più grandi al mondo mondo avesse impiegato novant’anni a creare una protagonista dalla pelle scura e soprattutto perché alcuni miei conoscenti fossero così stupiti nel vederla.

Certo, Hollywood da tempo ha adottato la tecnica di far appartenere un personaggio di contorno ad una minoranza (l’amico gay, la tata portoricana, il maggiordomo cinese, giusto per citarne alcuni). Mi sento di definire questa pratica con il termine molto italiano di “paraculaggine”: in un paese come gli Stati Uniti, dove solo la metà della popolazione si definisce “bianca e cristiana”, un cast cinematografico composto al 95% da persone caucasiche, cristiane ed eterosessuali non può essere definito “rappresentativo” o “inclusivo”.

La rappresentazione delle minoranze

Penso sia stato circa due anni fa, in contemporanea con l’elezione di Donald Trump, che si è sentito il bisogno di rafforzare l’immagine pubblica di questi gruppi minoritari. E da allora a Hollywood i film cardine di questo cambiamento sono stati Black Panther, Wonder Woman, Love, Simon e Crazy & Rich. Perlomeno, sono quelli che hanno ottenuto maggiori attenzioni, sia da parte del pubblico che dalla critica. Black Panther e Crazy & Rich hanno dei cast con la quasi totale assenza di attori caucasici, cosa mai accaduta nella storia del cinema. Hanno preso delle etnie sottorappresentate e le hanno rese forti, ricche e dominanti; prive degli stereotipi e dei cliché che ancora oggi vediamo sugli schermi.

Si può dire che questi siano stati scardinati anche da Love, Simon, che parla di una storia d’amore omosessuale in maniera semplice e pulita, senza quel velo di tragicità che solitamente accompagna questo genere di film. In Wonder Woman, invece, vediamo per la prima volta una supereroina che conquista la scena e diventa protagonista, invece di far parte di un gruppo o essere semplice sidekick degli uomini (al contrario di ciò che fa, per esempio, la Vedova Nera).

Non è sempre facile, però, se si fa parte della maggioranza, rendersi conto di quanto sentirsi rappresentati sia importante. È diventata celebre la polemica scatenatasi sul web quando Scarlett Johansson accettò il ruolo di un uomo transgender nel film Rub & Tug. La comunità LGBT+ ha insistito affinché la parte andasse ad un uomo trans (ossia una persona che ha transitato dal sesso femminile a quello maschile), che si sarebbe eventualmente vestito da donna per girare le scene pre-transizione.

Anche noi abbiamo il diritto di venire rappresentati. Già adesso c’è tanta confusione sulle persone trans. La gente deve capire che non siamo travestiti, ma persone con un’identità di genere valida e degna di rispetto”, hanno scritto alcuni attivisti su Twitter. A seguito di queste proteste, Scarlett Johansson ha rinunciato al ruolo e si è scusata pubblicamente. Non credo che l’attrice americana abbia agito con malizia, semplicemente, è difficile rendersi conto di una disparità quando se ne è beneficiari.

Un mondo all’incontrario

Altre controversie legate nello specifico alla comunità LGBT+ si sono sollevate attorno ad una possibile relazione omosessuale del personaggio di Elsa nel sequel del film di animazione targato Disney Frozen, in uscita a novembre di quest’anno. La bionda regina di Arendelle, che con la sua canzone Let It Go incoraggiava a non nascondersi e a mostrarsi per come si è veramente, è diventata un’icona del mondo gay, che chiede tuttora a gran voce che lei diventi il primo personaggio omosessuale dichiarato dell’universo Disney.

Hollywood 4
Elsa di Frozen (2013).

La stessa regista, Jennifer Lee, ha detto che sta prendendo in considerazione la questione. Dichiarazione che ha fatto saltare sulla sedia Matteo Salvini, che si era giusto appena pronunciato sul tema: “Elsa non dovrà mai diventare lesbica. Così facendo ci stanno preparando per un mondo all’incontrario”.

Forse ha ragione lui. Forse Hollywood e il cinema in generale ci stanno davvero preparando ad un mondo rovesciato. Un mondo dove le donne conquistano la ribalta, dove le minoranze sono raffigurate senza stereotipi e dove ognuno è libero di esprimere la sua identità. Magari ci stiamo davvero avvicinando ad un mondo all’incontrario. Io, se non altro, lo spero.

Alice Buselli

(In copertina Hollywood Sasha • Stories da Unsplash)


Per approfondire, dal percorso tematico Donne e Femminismo:

Bechdel Test – Inclusione e gender bias nel cinema, di Chiara Parma


Articolo originariamente pubblicato su @claxon minghetti nel numero di febbraio 2019.

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