Politica

Lo stato di salute del M5S

Movimento 5 Stelle

Tempo di riflessione per il Movimento 5 Stelle dopo gli ultimi insuccessi elettorali: rispetto alle politiche del 2018, alle regionali in Abruzzo ha dimezzato i propri voti, mentre in Sardegna, sebbene il movimento sia entrato per la prima volta in consiglio regionale, il calo è stato ancora più fragoroso, essendo passato dal 42% a un magro 11%. I pentastellati non sono nuovi a sconfitte nelle elezioni amministrative, soprattutto per via dello scarso radicamento sul territorio, ma sono sempre riusciti a confermare un trend positivo su scala nazionale. E, sebbene il Movimento abbia una parziale scusante nel fatto di correre da solo, senza alcuna alleanza, sarebbe riduttivo attribuire tutte le cause degli insuccessi a quest’ultimo fattore: I 5 stelle correvano da soli anche nelle ultime elezioni comunali di illustri città come Roma e Torino, dove hanno riportato schiaccianti vittorie.

Piuttosto, è interessante sottolineare come questo momento di flessione coincida, per la prima volta dal 2013, con un calo di consensi che traspare anche dai sondaggi a livello nazionale. È innegabile che la subalternità alla Lega di Matteo Salvini, la cui influenza all’interno della compagine governativa è cresciuta esponenzialmente negli ultimi mesi, abbia fatto sorgere alcuni malumori. L’eterogeneità del M5S, animato da correnti diverse ma accomunate da solidi principi di trasparenza, se in un primo momento poteva rappresentare quella discontinuità positiva rispetto alla tanto criticata “vecchia casta”, si rivela ora un punto di debolezza di fronte al carismatico leader della Lega, nonché alleato di governo. Salvini, infatti, sembra non avere difficoltà nel far prevalere i temi più cari al Carroccio e al Centro Destra e invisi a un parte dei 5 stelle. Emblematico il voto sul Decreto Sicurezza: seppur approvato, ha comportato alcuni contrasti tra i pentastellati, con conseguenti espulsioni dei dissidenti (come il senatore De Falco).

Ma è in particolare sui dogmi del Movimento che il vice-premier Di Maio sta giocando la partita più importante. La questione della concessione dell’immunità a Salvini sul caso Diciotti si è portata dietro strascichi rilevanti: non si può ignorare quel 41% di elettori che, nonostante fossero la minoranza, sulla piattaforma Rousseau aveva votato per non sacrificare la “verginità” politica del Movimento, da sempre contrario a qualsiasi privilegio parlamentare, sull’altare della tenuta del governo. In queste ultime settimane, al centro del dibattito politico vi sono in particolare questioni spinose come Tav e autonomie locali. Anche qui, la posizione della Lega sembra essere quella dominante, anche grazie all’opera di mediazione del presidente Giuseppe Conte, il quale, al fine di superare l’empasse degli ultimi giorni, pare intenzionato a portare avanti l’idea di una Tav a costi contenuti e con minor impatto ambientale per le comunità coinvolte. Qualora la resistenza del m5s venisse piegata e l’opera si realizzasse, sarebbe furente la reazione del popolo no-Tav, le cui rimostranze sono state prese in carico dal Movimento sin dalla sua nascita, e ciò si tradurrebbe in ulteriore calo di consensi. Emblematiche in tal senso sono le dichiarazioni del senatore 5 stelle Alberto Airola, intenzionato a uscire dal gruppo in caso di completamento della linea alta velocità Torino-Lione. Più o meno analoga è la questione delle autonomie, tema divisivo non solo per il governo ma anche per Nord e Sud. Se da un lato l’elettorato leghista mette pressione a Salvini per l’avvio di un iter legislativo dedicato, il Meridione, principale bacino di voti per i grillini, teme che il trasferimento di funzioni sia un modo per sbilanciare l’erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche. Ma per Di Maio è tempo di interrogarsi anche sull’organizzazione interna del Movimento. In tal frangente si colloca la possibilità di fronteggiare la scarsa competitività a livello locale aprendo ad apparentamenti con le liste civiche del territorio, a patto che esse siano vera espressione degli interessi dei cittadini, e non “mere ammucchiate di candidati impresentabili inseriti all’ultimo minuto”. Altro punto all’ordine del giorno è il vincolo del doppio mandato per tutti coloro che ricoprono cariche elettive, un tabù finora mai messo in discussione, ma che ora è al centro di un’ipotesi di revisione. È evidente che queste modifiche dello statuto siano volte a favorire una graduale trasformazione del Movimento in vero e proprio partito politico. Le elezioni europee di Maggio chiariranno se il M5S sta andando nella direzione giusta, ma qualora la Lega continuasse a fare incetta di voti non è utopico pensare a ripercussioni sull’attuale formazione di governo, con un Salvini pronto a esercitare un sempre maggiore potere contrattuale sul tavolo delle trattative.

Stefano Giuffredi

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