
Se si dovessero elencare le figure che più hanno contribuito a rendere il ventunesimo secolo ciò che è adesso, in cima a quell’elenco si staglierebbe di certo Steven Paul “Steve” Jobs. Il suo nome è sinonimo di genialità, fama e straordinaria abilità imprenditoriale, la sua compagnia ha da poco raggiunto uno strabiliante valore di mercato, attestandosi in borsa a mille miliardi di dollari; dei prodotti che ha contribuito a progettare e pubblicizzare, in primis lo storico Iphone che dal 2007 ad oggi continua ininterrottamente la sua brillante carriera, ne sono stati venduti più di due miliardi, e si stimava nel 2017 che solo di Iphone ve ne fossero attivi circa duecento milioni, un totale che di certo in questi due anni sarà cresciuto esponenzialmente. Eppure, quasi paradossalmente, il successo e la fama che hanno accompagnato la figura di Steve Jobs dall’ascesa fino alla morte vi hanno anche gettato attorno una sorta di cortina fumogena, mascherando il vero personaggio e celandolo alla vista e alla conoscenza dei più. Quanti, infatti, possono vantare di sapere la travagliata quanto avventurosa storia della nascita di Steve Jobs? Quanti possono ricordare, così su due piedi, il nome del brillante collega Steve Wozniak, l’ideatore del “personal computer” nella sua concezione attuale e la mente dietro la Apple e le sue trovate tecnologiche fino alla rottura con Jobs?
Se si dovessero elencare le figure che più hanno contribuito a rendere il ventunesimo secolo ciò che è adesso, in cima a quell’elenco si staglierebbe di certo Steven Paul “Steve” Jobs. Il suo nome è sinonimo di genialità, fama e straordinaria abilità imprenditoriale, la sua compagnia ha da poco raggiunto uno strabiliante valore di mercato, attestandosi in borsa a mille miliardi di dollari; dei prodotti che ha contribuito a progettare e pubblicizzare, in primis lo storico iPhone che dal 2007 ad oggi continua ininterrottamente la sua brillante carriera, ne sono stati venduti più di due miliardi, e si stimava nel 2017 che solo di iPhone ve ne fossero attivi circa duecento milioni, un totale che di certo in questi due anni sarà cresciuto esponenzialmente. Eppure, quasi paradossalmente, il successo e la fama che hanno accompagnato la figura di Steve Jobs dall’ascesa fino alla morte vi hanno anche gettato attorno una sorta di cortina fumogena, mascherando il vero personaggio e celandolo alla vista e alla conoscenza dei più. Quanti, infatti, possono vantare di sapere la travagliata quanto avventurosa storia della nascita di Steve Jobs? Quanti possono ricordare, così su due piedi, il nome del brillante collega Steve Wozniak, l’ideatore del “personal computer” nella sua concezione attuale e la mente dietro la Apple e le sue trovate tecnologiche fino alla rottura con Jobs? C’è da riconoscere che negli ultimi anni, anche grazie a film biografici come “Jobs” nel 2013 e “Steve Jobs” nel 2015, il numero di persone a conoscenza di una parte della vita di questa eclettica figura è sicuramente aumentato. Tuttavia anche quei film, limitati dalla necessità di sviluppare una trama e incapacitati a raccontare propriamente una storia, hanno dovuto omettere alcune parti fondamentali che mi accingo ad esporre di seguito. In primo luogo, la sopra citata nascita: Steve Jobs nacque esattamente 64 anni fa, il 24 febbraio del 1955, da Abdulfattah Jandali e Joanne Schliebe. Il padre era di origini siriane, emigrato negli Stati Uniti per studiare legge all’Università del Wisconsin, dove incontrò la giovane Schliebe, anch’essa studentessa, e con cui intrecciò una relazione che risultò particolarmente invisa ai genitori di lei, cattolici convinti. Quando Joanne rimase incinta, temendo lo stigma sociale che circondava l’aborto, decise di tenere il bambino e, col consenso del padre, di darlo in affidamento subito dopo a una famiglia agiata, che però si rivelò alquanto difficile da trovare; dopo un lungo periodo di ricerca, i genitori optarono per la famiglia Jobs, di classe media e per nulla facoltosa, ma disposta ad accogliere il bambino senza alcun pregiudizio, facendo loro promettere di mandare il figlio adottivo al college. Fu in queste circostanze che venne alla luce il giovane Steve, subito affidato ai coniugi Jobs e allontanato dai propri genitori naturali, per cui in seguito dichiarerà di non provare alcun amore, ma nemmeno alcun risentimento. Trascorse la sua gioventù in un semplice quartiere residenziale di Mountain View, California, abitato perlopiù da tecnici, elettricisti e manovali come il padre Paul, con cui Steve strinse subito amicizia. Interessato specialmente all’elettronica, si intratteneva spesso a conversare con gli esperti del quartiere in cerca di dritte e sempre desideroso di appagare la sua implacabile curiosità, lasciata sovente insoddisfatta dalla scuola, con cui aveva un rapporto a dir poco conflittuale e in cui spesso faticava a integrarsi: fin dalle elementari Steve Jobs era restio ad obbedire alle figure di autorità come gli insegnanti e spesso non trovava nulla da fare durante le lezioni, che considerava alquanto noiose e fin troppo facili, risultando spesso pestifero e inviso ai docenti. Lo stesso Jobs dichiarerà in seguito che furono le APC, “Advanced Placement Classes” (una tipologia di classe americana che raccoglie gli studenti migliori di un determinato anno e offre loro come piano di studi quello dell’anno dopo), a trasformarlo e a spingerlo di nuovo a studiare e a imparare, portandolo a saltare l’equivalente della nostra quinta elementare per passare direttamente in prima media, trovandosi tuttavia vittima di bullismo a causa delle sue abitudini solitarie e della sua tendenza a parlare più con gli adulti che con i suoi pari. La situazione non perdurò a lungo, in quanto la famiglia Jobs si trasferì in un altro quartiere per mettere il figlio in un “distretto scolastico” dalla reputazione migliore, che aveva anche il vantaggio di ospitare numerosi figli di ingegneri e periti elettrotecnico-informatici, con i cui padri Steve ebbe modo di dialogare ancor più approfonditamente sulla nascente tecnologia dei computer, coltivando la sua passione per questo settore e ottenendo addirittura un lavoro estivo alla Hewlett-Packard. Negli anni del liceo, Steve procedette brillantemente ed ebbe modo di farsi nuovi e numerosi amici, nonché di sperimentare con nuove materie e campi di studio. In particolare lo affascinò il settore umanistico, a tal punto che sviluppò una passione ardente per la musica, le arti e la letteratura, completamente separata ma coesistente a quella per l’elettronica, un fenomeno che si riflesse anche nelle sue amicizie: esse si divisero in un gruppo di amici che condivideva i suoi interessi per gli ambiti umanistici, fra cui la sua fidanzata storica, Chrisann Brennan; e un altro gruppo che invece prediligeva l’elettronica e con i quali egli si dava all’informatica e alla logica. Fu tramite uno degli amici di quest’ultimo gruppo che Steve Jobs conobbe per la prima volta il suo futuro partner in affari e l’ideatore dei primi Apple computer, Steve Wozniak, al tempo studente dell’ultimo anno della high school che frequentavano. I due furono momentaneamente divisi quando entrambi si iscrissero al college, il primo al Reed College di Portland, Oregon e il secondo alla Univeristy of California a Berkeley, tuttavia restarono in contatto durante tutto il periodo e occasionalmente si fecero visita a vicenda, specialmente Jobs che già vedeva in Wozniak un talento inosservato e in pericolo di essere ignorato e sprecato. Steve decise dopo poco di uscire dal Reed College, visto che la spesa che richiedeva era fin troppo alta perché i suoi genitori potessero permettersi di sostenerla senza risentirne grandemente, e decise di tornare in California dove, dopo aver trovato lavoro alla Atari, famosissima azienda produttrice di videogiochi, ed essere rimasto coinvolto anche grazie a Chrisann, la sua fidanzata, nel movimento hippie, pianificò un viaggio spirituale in India. Nel 1975, all’età di vent’anni, Jobs decise di proseguire con un questo piano e soggiornò per sette mesi fra Delhi e l’Uttar Pradesh alla ricerca dell’Illuminazione Spirituale, a seguito dei quali visse per un breve periodo in una fattoria collettiva dell’Oregon, interessandosi alla meditazione e alle pratiche buddhiste, sviluppando una ben nota passione per lo Zen che lo accompagnò per tutta la sua vita. La sua fase spirituale fu troncata di netto quando Jobs, contattato dalla Atari, raccolse una sfida lanciata dalla compagnia a rimuovere il numero più alto di chip transistor in una scheda madre per un videogioco, senza che questo ne risentisse in alcun modo: non essendo particolarmente portato in questo campo dell’informatica applicata, Steve Jobs comprese che avrebbe potuto servirsi del talento di Wozniak, pieno di abilità ma dalle scarse abilità sociali e dalla ancora più scarsa attenzione alle azioni dell’amico, una strategia che fruttò a Jobs la vittoria nella sfida e negli anni gli diede modo di raggiungere il successo appropriandosi delle innovative invenzioni di Wozniak. Subito dopo Steve decise di sfruttare un congegno escogitato dal geniale amico per ingannare i sistemi di tariffazione delle chiamate telefoniche, vendendolo al mercato nero e guadagnando abbastanza soldi da finanziare la loro operazione successiva, quella che servì da trampolino verso la fama per entrambi i giovani e innescò la successione di eventi che ormai tutti conosciamo, dato che ha influenzato le nostre vite in maniere già a lungo descritte da innumerevoli scrittori: la Apple. Possiamo vedere da questa narrazione come Steve Jobs non fosse un genio, come molti lo dipingono, nel senso proprio del termine: sebbene i suoi talenti fossero chiari, e di certo non si trattasse un giovane ordinario, la sua vera genialità fu nel capire sempre, nel corso degli anni, cosa fosse meglio in quel momento per sé, che fosse abbandonare il College per dedicare più tempo agli affari in elettronica o vedere il talento sprecato di Wozniak e farne un cavallo di battaglia di cui servirsi per portare la rivoluzione del personal computer nelle case di ogni persona.
Iacopo Brini