Chi non conosce Vincent Van Gogh? Quello dei girasoli, quello che si è tagliato l’orecchio, quello che viveva nella casa gialla. Quello pazzo. Tutti hanno sentito parlare di questo grande artista, almeno di nome, e molti credono di conoscerlo. Perciò, quando le luci in sala iniziano ad affievolirsi, con lo sguardo rivolto al grande schermo tutti hanno già un’idea di quello che stanno per vedere. Poi, però, il film inizia.
La scena si apre sulla Parigi della seconda metà dell’Ottocento, una ville lumière non così sfavillante come potrebbe apparire nell’immaginario comune. Vincent cerca di entrare a far parte della scena artistica facendo conoscenza con altri pittori, partecipando a incontri e esponendo le sue opere, ma già dai primi eventi e dai primi dialoghi si può intuire nell’animo del protagonista un clima di inquietudine e senso di non appartenenza a quel luogo. Cruciale è l’incontro con Paul Gauguin, una figura fondamentale nella vita di Vincent e con il quale svilupperà un profondo rapporto: quando il nuovo amico annuncia di partire alla ricerca di nuovi soggetti per la sua arte, consiglia a Vincent di fare lo stesso.
Così Van Gogh si trasferisce ad Arles, nel sud della Francia, sostenuto finanziariamente dal fratello Théo. Il sole provenzale non ha però sul pittore l’effetto sperato: in un paese di provincia, ogni abitante rappresenta un determinato stereotipo molto più che in una grande città. A Vincent, tra tutti i ruoli possibili, viene attribuito quello di “strano”, addirittura “pazzo”. La condizione economica precaria non aiuta a migliorare la sua immagine: vive in una piccola stanza offerta per un affitto di pochi soldi dagli unici amici, o meglio conoscenti, che cercano di aiutarlo, e non ha nemmeno abbastanza denaro per una domestica. La verità è che Vincent non ha nessuno, ad eccezione di Théo e di Gauguin, con i quali resta in contatto epistolare. L’amicizia con Paul, però, sarà soggetta ad alcuni eventi burrascosi provocati da pesanti incomprensioni artistiche. Ed è proprio questo, l’incomprensione, che spinge Vincent a comportarsi secondo ciò che comunemente viene definito “pazzia”. Non mancano i soggiorni in ospedali psichiatrici, accettati di buona volontà dal pittore, a condizione di poter continuare a dipingere: solo in questa attività l’artista riesce a trovare pace, perché gli permette di “smettere di pensare”. Purtroppo, i prodotti della sua unica passione non vengono graditi dal pubblico, e rimarranno tali fino a dopo la sua morte. Questo fatto nel film è evidenziato dalla scena dedicata al funerale dell’artista: Vincent, deposto nella bara, è circondato da fiori e dalle sue stesse tele: alcune persone si aggirano nella stanza, osservando le opere e mostrando, finalmente, interesse e gradimento.
Il film, diretto da Julian Schnabel e presentato in anteprima mondiale alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia il 3 settembre 2018, ha riscosso un notevole successo, grazie all’interpretazione di Willem Dafoe (Vincent Van Gogh) e all’originalità con cui il regista propone un film biografico. Oltre ad alcuni riconoscimenti ricevuti al Festival di Venezia, Dafoe è candidato come migliore attore ai Critics’ Choice Awards, al Golden Globe e al premio Oscar.
La particolarità di questo film è la modalità con cui è proposto il tema del sottile confine tra genio e pazzia. A differenza di molte altre biografie in cui l’unico scopo sembra essere l’estrema celebrazione del protagonista e l’accusa nei confronti di tutti coloro che lo circondano senza capirlo, nel suo film Schnabel vuole scavare più a fondo nella tematica dell’incomprensione. Non si limita a mostrare un artista solo ed escluso, nell’estremo tentativo di essere accettato, ma mette in scena ogni singolo dettaglio che ha portato alla costruzione di quel muro tra il l’individuo e il mondo intero. E, soprattutto, non nasconde la consapevolezza che il protagonista ha della sua condizione.
Sono proprio questi dettagli a dare una forza esplosiva al pittore e alla sua arte: sullo schermo, gli avvenimenti passano in secondo piano, soppiantati dalla febbrile vitalità e dall’inquieto entusiasmo che guidano Vincent in ogni singola pennellata. I paesaggi dalla natura rigogliosa e gli effetti di luce sembrano ricreare l’atmosfera nella mente dell’artista: una bellezza condannata.
“Volevo solo essere uno di loro”, dice Vincent all’inizio del film, ma già da questa singola battuta è reso evidente che, se Van Gogh fosse stato come tutti gli altri, ora il mondo non potrebbe godere di alcuni dei maggiori capolavori di tutti i tempi.
Clarice Agostini