Poche espressioni riescono a penetrare la realtà del mondo in cui siamo calati come fake news (letteralmente “notizie false”), neologismo inglese che designa un’informazione artificiosa, simulata, fallace. Questo prestito linguistico è ormai entrato a far parte del lessico comune, forse perché utilizzato per indicare una grande varietà di fenomeni, a volte molto diversi tra loro: errori di stampa, bufale, teorie complottiste, articoli satirici utilizzati impropriamente come attendibili fonti giornalistiche, notizie non verificate, propaganda politica, informazioni false lanciate da siti messi on-line per generare profitti da click-baiting… Recentemente il termine è stato oggetto di dibattito, visto l’utilizzo spesso improprio che molte fazioni e personaggi politici ne hanno fatto, specialmente al fine di screditare i loro oppositori. Queste notizie sono scritte, pubblicate e spesso diffuse con titoli sensazionalistici, esagerati o addirittura palesemente errati: il loro scopo è solo quello di catturare l’attenzione del lettore e suscitare un’indignazione che, a sua volta, può produrre una maggiore condivisione e diffusione della fake news. Sebbene il termine abbia origini molto recenti e il suo significato attuale sia comparso attorno al 2010, esistono molti casi, nel corso della storia, che si possono considerare come degli illustri precedenti.
Una storia di menzogne
L’utilizzo strumentale di notizie false a scopo politico-demagogico è stato frequente nella storia: uno dei primi illustri esempi è Ottaviano Augusto, primo imperatore di Roma, che, durante l’ultima fase delle guerre civili a Roma (44 a.C. – 31 a.C.), attuò diverse campagne mediatiche, presentandosi al popolo romano come un restauratore dell’ordine e delle istituzioni. Durante la guerra civile che lo vide contrapposto a Marco Antonio, poi, ne volle minare la credibilità agli occhi dei concittadini. Augusto si fece rappresentare, nella statuaria come in molte poesie, sotto diverse luci a seconda dell’immagine che in quel momento avrebbe reso la plebe a lui più favorevole. Nella monumentale campagna di disinformazione condotta contro Marco Antonio, il futuro princeps lo dipinse come un uomo dissoluto e debole, servo dell’amante straniera e seduttrice Cleopatra, intento a rimpiazzare le istituzioni della repubblica con una tirannide di stampo orientale: in ciò possiamo realmente individuare uno dei primissimi esempi storici di propaganda massiccia e, almeno in parte, di fake news.
Da lì, nel corso dei secoli, si sono susseguiti un gran numero di casi: simboliche, in tal senso, sono le campagne anti-cristiane perseguite da imperatori romani come Decio, Valeriano e Diocleziano, che, diffondendo voci irragionevoli (quali ad esempio la leggenda che i cristiani facessero sacrifici umani, che più tardi sarebbe stata applicata con lo stesso effetto anche agli ebrei) tennero a lungo isolate le comunità cattoliche, attirando su di loro sospetto, odio e terrore. La morale è chiara: potere e verità possono andare d’accordo, sì, ma solo a patto che sia politicamente conveniente.
Alcune informazioni, poi, possono essere diffuse non solo contro un credo religioso, ma anche contro un’intera comunità, al fine di screditarla: è così, ad esempio, per le notizie sulle crudeli abitudini dei pellerossa d’America documentate da Benjamin Franklin, o per i Protocolli dei Savi di Sion, documenti dalle tesi così improbabili che stupisce quasi il fatto che siano stati utilizzati da nazisti, russi e americani come giustificazione per persecuzioni razziali. In questi episodi possiamo individuare un filo conduttore che mostra una delle principali, se non la principale, finalità di una fake news: creare ostilità verso un gruppo minoritario. Con la diffusione di materiale talora palesemente inverosimile e improponibile, si cerca di attirare l’attenzione di un possibile lettore e suscitare in lui indignazione; in altre parole si vuole creare, con la condivisione e la propagazione della notizia, un muro di pregiudizio che isoli una minoranza e la tagli fuori dal mondo esterno e dalle persone comuni. Questo porta spesso gli esclusi a chiudersi ancora di più, e a diventare più violenti, sentendosi messi all’angolo (come nel caso delle comunità musulmane in Europa e America, in cui la pioggia di stereotipi volti ad alimentare il pregiudizio sull’Islam ha contribuito a creare cellule terroristiche e a spingere numerosi giovani a diventare “foreign fighters”). Informazioni distorte possono, tuttavia, essere utilizzate in maniera più sottile e meno caotica, con effetti meno tangibili sul piano concreto ma in realtà percepibili sulla popolazione: nel campo della politica, queste notizie possono avere la funzione di screditare la posizione di un avversario, minando la sua credibilità agli occhi delle persone comuni, vulnerabili all’effetto “gregge” e con una forte tendenza ad uniformare il proprio pensiero a quello del leader di turno. Tali informazioni sono anche in grado di rafforzare l’immagine del politico interessato a diffonderle, in alcuni casi addirittura tramite la diffusione di un genere che si potrebbe definire “di elogio”, il cui contenuto è chiaramente inneggiante a colui che le ha create.
Un caso di questo genere è la donazione di Costantino, datata XI secolo: questo documento apocrifo racconta che l’imperatore Costantino, nel 315, avrebbe donato a papa Silvestro I il potere assoluto sulla parte occidentale dell’Impero Romano. Donazione che però, inutile dirlo, non ebbe mai luogo. Come possiamo vedere, dunque, fake news e falso storico a volte sono profondamente correlati tra loro: come poterli distinguere in casi come questo?
Un male veloce
Per rispondere a questa domanda ci vengono in aiuto gli attualissimi versi di Virgilio:
Subito Fama va per le grandi città di Libia / Fama, della quale nessun altro male è più veloce: / si rafforza nel movimento e forze acquista andando, / dapprima piccola per la paura, si innalza poi in cielo / cammina sulla terra e nasconde la testa fra le nuvole.
Virgilio,Eneide, Libro IV, v.173-177
In questa descrizione il poeta mantovano sottolinea il movimento della Fama, che, appunto, nello spostarsi accresce le sue forze: come il mostro immaginato da Virgilio, la fake news si distingue proprio a causa del suo dinamismo. In un certo senso, possiamo dire che fake news è l’atto stesso di trasmissione – consapevole o non – di un falso. Ma con quali dinamiche avviene questo spostamento? Per saperlo occorre concentrarsi sul canale attraverso cui si muove una notizia: infatti il mezzo d’informazione influisce non solo sulla forma, ma anche sulla diffusione e sul contenuto della notizia stessa.
Questi diversi veicoli di comunicazione si possono dividere in tre macro-aree: la prima è l’area della trasmissione orale; la seconda di quella scritta; la terza di quella digitale. A prescindere dal genere della notizia presa in esame, possiamo essere sicuri che essa starà utilizzando uno di questi canali per crescere e diffondersi. Appare subito chiaro che il mezzo con cui la fake news si propaga più facilmente è quello digitale: infatti Internet consente di creare contenuti che possono diffondersi in tempi enormemente più veloci di un comune passaparola; inoltre sul Web è possibile saltare quel fact-checking che è presente nei circuiti della grande distribuzione editoriale e che assicura un’alta qualità per la maggior parte dei libri pubblicati. Questi criteri, però, non assicurano che un libro sia sempre attendibile, o che una voce di corridoio o un sito internet siano sempre erronei: le circostanze specifiche variano di volta in volta, ed entrano in gioco un gran numero di incognite. Rimane comunque evidente che, oggigiorno, abbiamo nelle nostre mani strumenti capaci di creare il panico in un’intera nazione con un click, e ai più manca la capacità di saperli utilizzare con discernimento. La cronaca recente non fa che confermarlo: meno di venti giorni fa il Presidente della commissione Sanità al Senato, Pierpaolo Sileri, ha commentato con soddisfazione la firma di un patto che rappresentaun no deciso all’antivaccinismo. I racconti sulla pericolosità delle vaccinazioni, infatti, rappresentano una delle fake news ancora in circolazione più datate, dal momento che risale addirittura ai primi del Novecento.
Ci sembra chiaro, per ora, il fallimento di una linea educativa – se mai c’è stata – volta ad evitare misure straordinarie come quella descritta sopra: pronunciarsi, per esempio, sull’utilità del vaccino, la cui efficacia medica, dati alla mano, è indiscutibile, ci pare una misura estrema e alla quale non si dovrebbe, in ogni caso, arrivare. Da questo fallimento, però, nasce un appello affinché questa sfida possa essere superata, e, come quella, tante altre campagne di sensibilizzazione che vengono organizzate al giorno d’oggi non siano sterili lamenti contro il progresso: il giudizio sulla tecnologia non dipende dalla tecnologia in sé, bensì dagli usi che ne vengono fatti, e proprio su questi utilizzi si concentra il dibattito contemporaneo tra uomo e macchina. Se volessimo essere più corretti la domanda che ci dovremmo porre tutti è: “Dalla tecnologia che abbiamo oggi ci viene più bene di quanto male ce ne derivi?”
Poco più di sessant’anni fa, l’Italia sanciva l’istruzione obbligatoria fino a 14 anni, dando avvio così a una democratizzazione della cultura; oggi, con la rivoluzione digitale, quello stesso numero rischia di tramutarsi in disinformazione di massa. Come fare a massimizzare i vantaggi della rete, minimizzando allo stesso tempo gli svantaggi?
Due ci sembrano le proposte che vengono attuate al giorno d’oggi: la prima prevede, da parte dello Stato o di un organismo egemone, la censura di tutte quelle informazioni di comprovata infondatezza. Misure cautelari di questo genere esistevano già nell’Olanda del XVIII secolo, dove, secondo le legislazioni in vigore, erano previste pene per i “pubblicatori di notizie false”. Tuttora, poi, esistono un gran numero di paesi, come Cina, Iran, Bielorussia, Corea del Nord (la lista sarebbe lunga), dove la libertà di stampa non esiste, e l’accesso a Internet di ogni cittadino è costantemente monitorato. Il problema più evidente, in questi casi, sta a monte: chi decide cosa è “fake news” e che cosa invece merita di essere diffuso? Il rischio, infatti, è di mascherare come “misura precauzionale” uno schiaffo alla libertà di ogni cittadino da parte del potere.
La seconda proposta, invece, viene dal basso, e ha come obiettivo aumentare la cultura delle masse attraverso la trasmissione di informazioni di qualità elevata. Ma quando un gran numero di notizie risulta inattendibile e allo stesso tempo la cultura non è più in grado di imporsi sulla menzogna per la sua autorevolezza, come fare? Si potrebbe pensare di ricercare l’assoluta oggettività nell’informazione: tuttavia, per rimuovere la soggettività, bisognerebbe rimuovere il linguaggio che, strutturandosi come accordo tra i parlanti – i soggetti dell’azione – non può essere per definizione oggettivo. Ancora, si potrebbero presentare dati statistici nudi e crudi: ma allora non si parlerebbe più di informazione, perché i dati hanno bisogno di essere interpretati; senza contare che non esistono dati assoluti, ma solo relativi, così come relativa e non assoluta è la loro presentazione.
Sembra proprio che questa domanda sulla corretta possibilità di informarsi sia destinata a rimanere senza una risposta assoluta: non è possibile determinare a priori una notizia falsa da una vera, né indurre modificazioni all’interno della sua forma per prevenire ogni sorta di manipolazione del contenuto. Tuttavia non solo non è possibile che l’informazione sia oggettiva, ma non è nemmeno necessario: in altre parole, ciò che conta all’interno di un messaggio non è tanto che esso sia vero, quanto piuttosto autentico. Ma, in definitiva, come difendersi dalle fake news? Nel poco tempo che rimane tenteremo di fornire una risposta adeguata.
Spirito critico
Per capire come difendersi da una fake news, ci pare opportuno reintrodurre nel discorso il caso, già citato, della Donazione di Costantino: infatti, la infondatezza storica di tale donazione fu provata nel 1517, da parte del grande umanista Lorenzo Valla. Questo accademico romano, analizzando con precisione certosina i passi della donazione, riuscì a individuare tantissimi anacronismi commessi dagli autori dell’opera, e così fu in grado di concludere che quel documento non poteva essere che un falso. Allo stesso modo, in questo processo di presa di consapevolezza nei confronti dell’informazione è necessario, prima di accettare per vera o falsa una notizia – sul web come su un libro – sottoporla a quello stesso lavoro filologico scrupoloso impiegato da Lorenzo Valla. In pratica, quando stiamo leggendo qualcosa che non ci convince, dobbiamo chiederci: qual è l’autorevolezza di chi ha prodotto il documento? Perché l’avrebbe creato, e con quale fine? Che cosa conosco dell’argomento? E che cosa ne pensano esperti del medesimo settore?
Appare chiaro come il compito di formare generazioni di ragazzi capaci di operare un’operazione di verifica così complessa spetta alle istituzioni storicamente deputate alla cultura: tra esse, la scuola riveste forse il ruolo più importante. I modi in cui si potrebbe realizzare questa maturazione sono innumerevoli: si potrebbero deputare alcuni spazi alla discussione in classe sull’attendibilità di notizie contemporanee; oppure, tramite lo studio delle forme e dei modi del discorso logicamente corretto, si potrebbe distinguerlo da quello paralogistico e capzioso. Per quanto queste proposte siano nebulose e di difficile, se non addirittura nociva, introduzione, è ineludibile che l’insegnamento odierno debba confrontarsi con queste nuove realtà, in qualche modo. Di vitale importanza, infatti, appare oggi consegnare allo studente le capacità per districarsi in una giungla di informazioni ingannevoli e mendaci: per quanto il compito sia arduo, bisogna coniugare i due aspetti opposti della libertà di informazione e della sua qualità. Un traguardo che, come ha fatto Lorenzo Valla, deve essere perseguito, per non venire sopraffatti da quanto noi stessi siamo stati capaci di creare.
Iacopo Brini – Francesco Faccioli