
La settimana scorsa, il 21 dicembre 2018, a Bologna in Casetta Rossa si è svolto l’incontro organizzato da Radio C.A.P. e dai GD Porto-Saragozza-Ragazzi di Utøya con l’eurodeputata Cecile Kyenge, ex ministro per l’integrazione con delega alle politiche giovanili sotto il governo Letta (2013-2014). Gli organizzatori della conferenza, il pubblico e gli inviati di Giovani Reporter hanno fatto numerose domande. Qui di seguito riportiamo le più interessanti e approfondite, insieme a delle rielaborazioni sintetiche delle relative risposte. Su Youtube si può trovare il video integrale della conferenza.
Davide Lamandini

L’Unione Europea è un’istituzione relativamente giovane. Ha conosciuto negli ultimi cinquanta anni un’evoluzione e un ampliamento costanti, riscuotendo grande ammirazione da parte della comunità internazionale. In pochi anni, gli stati membri sono giunti a livelli di integrazione e cooperazione prima impensabili, sia sul piano economico sia su quello sociale. Quali sono le cause che hanno portato il modello europeo a perdere la sua capacità attrattiva?
Non si può parlare di una causa unica di questa progressiva perdita di interesse nei confronti del modello europeo, ma di un insieme di cause e circostanze. Il primo punto su cui l’UE ha costruito la sua integrazione è stato quello “monetario“. Esso ha avuto non poche conseguenze sulla vita delle persone, soprattutto quando l’Unione non Ha più potuto offrire risposte a Paesi in difficoltà di fronte a politiche che andavano verso l’austerità.
La seconda causa, diretta conseguenza della prima, è stata l’imposizione di sacrifici ai paesi membri. Cosa che va contro trattati come l’articolo 80. Questo sulla carta esprime principi di solidarietà e equa ripartizione delle responsabilità tra tutti gli stati membri. Nell’applicazione, nella quotidianità e nella cooperazione invece non trova alcun riscontro effettivo. Tutto questo ovviamente si lega anche a uno dei temi cardine del dibattito politico attuale, l’immigrazione, dove gli stessi principi latitano.
Molti cittadini inoltre sono rimasti delusi da alcune politiche che hanno perso i valori unitari originali, come ad esempio il comportamento adottato con la Grecia. In questa occasione è emersa un’Unione che ha smesso di camminare insieme ai suoi paesi.
Siamo di fronte a un bivio in cui l’Unione Europea deve capire come rafforzare i valori contenuti nei suoi trattati e in particolare nell’articolo 2 e come rispettare i diritti umani, in particolare in questi giorni, nel loro settantesimo anniversario.
Sono ormai imminenti le elezioni europee che vedono in gioco una pluralità di forze politiche sovraniste che potrebbero cambiare gli equilibri presenti in parlamento. In che modo si dovrebbe affrontare il recente ritorno dei nazionalismi? Che futuro si profila per l’UE nel caso in cui paradossalmente coloro che si sono sempre posti in contrasto al progetto europeo ottengano la maggioranza?
Dobbiamo assolutamente evitare che ci sia questo ritorno. Le prossime elezioni si svolgeranno a colpi di fake news. Si spingerà molto sul populismo, e si cercherà di andare su questa strada per seguire quella indicata dalla Brexit, che proprio grazie ad esse è stata vinta. Con il termine fake news non intendiamo solo “notizie false” ma anche una disinformazione generale dei cittadini europei.
Rispondere a questa domanda però ha diverse sfaccettature. Il parlamento deve mantenere il suo ruolo fondamentale di baluardo della democrazia. Bisogna dunque fare di tutto affinché le forze europeiste e progressiste possano continuare a sedervisi all’interno.
E’ necessario anche vedere le ambiguità e le contraddizioni di chi professa di voler uscire dall’Unione e poi si candida alle elezioni del parlamento europeo. Queste elezioni si giocheranno sulle fake news ma non solo, anche su temi come l’immigrazione, dobbiamo rendercene conto. Più avremo paura di parlarne, più queste forze sovraniste e anti-europeiste andranno avanti.
Nella prossima legislatura europea preferirebbe continuare a governare con il PPE (Partito Popolare Europeo)? Oppure romperebbe la coalizione per creare una nuova alleanza progressista? Magari con i partiti di sinistra (EUL/NGL), i verdi (G-EFA) e i liberali (ALDE)
Prima di tutto noi non abbiamo un’alleanza con i popolari. Come sapete nel parlamento europeo ci sono diversi gruppi politici, io faccio parte dei socialisti-democratici, che collaborano con gli altri in base a singoli temi. Nel 2014 abbiamo fatto un accordo anche con i popolari per l’elezione della presidenza del parlamento europeo. L’obiettivo era cominciare a lavorare per porre fine alle politiche di austerity e introdurre una maggiore flessibilità. Ora, dopo due anni e mezzo, bisogna rinnovare la presidenza ma non per forza l’accordo, visto che il precedente si è concluso. Stanno cambiando strategie e modalità di azione.
I popolari attualmente fanno facilmente coalizioni con gruppi di estrema destra come i conservatori (per esempio nel caso dell’elezione di Tajani come presidente del parlamento). Ora bisogna pensare ad avvicinarci a gruppi che condividono con noi dei punti programmatici. Le prossime elezioni europee ci porteranno sicuramente su altre strade a fare diverse scelte. Adesso tutti i partiti politici di sinistra devono riflettere sulla questione e cercare di andare verso nuove grandi coalizioni che possano far fronte ai nuovi populisti che siederanno nel parlamento europeo.
L’Europa si trova adesso ad affrontare numerose correnti scissioniste che la assalgono da vari fronti. Esempio eclatante è quello della Gran Bretagna, che si accinge a lasciare definitivamente l’UE. Che conseguenze avrà la Brexit sui cittadini e sull’economia degli altri paesi membri? E qual è la probabilità che ciò inneschi una reazione a catena e che altri stati soprattutto nell’Europa orientale, come Polonia e Ungheria, seguano l’esempio inglese?
Uscire dall’Unione è un po’ complicato, non credo che lo faranno altri stati. Al limite possono minacciare, ma farlo davvero no. I parlamentari ancora oggi piangono per le conseguenze della Brexit e vorrebbero rifare il referendum. E questo perché è stato fatto senza pensare al dopo.
Stiamo cercando giorno per giorno gli accordi, senza che nessuno, soprattutto chi aveva spinto per l’uscita, avesse previsto come gestirla. Gli altri stati membri capiscono le difficoltà. Anche quelli che oggi sono contrari a questo modello di Europa sostengono di volerlo cambiare, non di volerne uscire come ha fatto la Gran Bretagna.
Un altro fatto molto interessante è che, tra tutti i paesi europei, quello che più di tutti ha lavorato sulla diversità sia l’Inghilterra. Con la sua uscita, l’Unione perderà anche gran parte delle minoranze presenti all’interno del parlamento. Londra a differenza di altri paesi ha infatti lavorato molto da questo punto di vista.
La Brexit ha parlato e ha fatto emergere un disagio che in un qualche modo si è manifestato anche in Italia. Per quale motivo, secondo lei, l’Unione Europea è spesso percepita come la negazione della sovranità popolare?
Dipende anche da come tutto questo viene comunicato, prima ho spiegato che ci sono cose che vanno e cose che non vanno nell’Unione, ma dipende da come viene presentato in ogni stato membro. Per quanto riguarda la Gran Bretagna si è visto come venivano manipolate e falsate le informazioni.
In Italia credo che le difficoltà provengano dall’impatto che hanno avuto certe politiche sul nostro territorio; per citare un tema che mi sta particolarmente a cuore, l’immigrazione, su di esso, oltre a giocarsi il futuro dell’Unione, si è già giocata buona parte della credibilità dell’UE. L’Italia, è vero, è stata lasciata da sola in un momento in cui poteva essere aiutata da tutti gli stati membri, ma sono anni che sta andando avanti così. E lo stesso alcune direttive studiate a livello europeo avevano un impatto più positivo sui paesi del nord che sul nostro (ad esempio il regolamento di Dublino). Su tutti questi punti: la mancanza di solidarietà, la mancanza di equa ripartizione delle responsabilità e la mancanza anche di saper ascoltare e accompagnare gli stati membri in numerosi settori, che hanno portato alle difficoltà che vediamo soprattutto in Italia.
Tuttavia è chiaro che su questi temi ci sia stata anche una strumentalizzazione enorme. Nel caso del regolamento di Dublino, quando ci siamo resi conto che c’era bisogno di apportarvi delle modifiche, ci siamo seduti a un tavolo e abbiamo scritto una nuova versione a parere mio molto bella, però non tutti l’abbiamo condivisa, non tutti abbiamo votato per sostenere l’Italia. Anche se ci abbiamo lavorato tanto. Il primo partito che si è tirato indietro è stato la Lega dicendo che non potevano votarlo perché in quel modo non si aiutava il Paese; cosa però falsa visto che le modifiche approvate a larga maggioranza lavoravano sul ricongiungimento delle famiglie e su un serio piano di integrazione. Il motivo vero era l’imminenza delle elezioni.
Un altro partito che ha lavorato benissimo con noi e che ha condiviso tutto il progetto fino all’ultimo è stato il Movimento 5 Stelle, salvo poi cambiare idea al momento di votare. E anche questo si sa poco in Italia. Se però abbiamo a cuore la solidarietà e il lavorare assieme dobbiamo iniziare a pensare a un sistema-paese che vada al di là dell’appartenenza politica e a progettare dei punti ben precisi, in un modo anche trasversale. Penso che questa possa essere la strada migliore per andare avanti, anche se poi l’Unione Europea non toglie sovranità ai paesi, ma anzi, casomai ne richiede di più per andare verso il progetto degli Stati Uniti d’Europa.
Così però finora non è stato, e infatti ci sono temi come la difesa o la politica estera in cui ci sono state difficoltà ad andare avanti proprio perché la sovranità di cui stiamo parlando non è in mano all’Unione (e infatti senza unanimità degli stati membri non si va avanti). Dobbiamo andare verso un’idea di maggioranza qualificata proprio perché troppi temi sono stati affidati alle politiche dei singoli stati e perché abbiamo realizzato un’integrazione basata solo sulla moneta.
Radio C.A.P.