Pochi giorni fa i cittadini del Brasile hanno votato per eleggere il loro nuovo Presidente. Siccome nessuno ha raggiunto la maggioranza assoluta, i due candidati che hanno ricevuto più voti andranno al ballottaggio il 28 Ottobre. Due candidati che rappresentano la realtà sociale del Brasile di oggi.
Da un lato vi è Fernando Haddad, candidato di sinistra del Partito dei Lavoratori (PT in portoghese). Haddad deve raccogliere un’eredità pesante. Il PT ha vinto le ultime quattro elezioni presidenziali. Luiz Ignacio Lula da Silva, leader storico del partito, è stato presidente dal 2002 al 2010 e ha introdotto riforme cruciali per migliorare la situazione delle classi più povere, come un’espansione e miglioramento del sistema scolastico (da sempre pesantemente in carenza di fondi, male organizzato e costoso) per permettere ai bambini più poveri di costruirsi un futuro, un programma di case popolari che ha sensibilmente ridotto il problema dei senzatetto, un sistema di sussidi che ha permesso a milioni di brasiliani in difficoltà di sopravvivere, ha debellato il problema della fame in Brasile e ha lanciato un periodo di grande crescita economica nella storia del Brasile, tutto questo senza andare in deficit nemmeno un anno. A succederlo è stata la ministra del suo governo Dilma Rousseff, che ha seguito le sue orme con un discreto successo fino al 2014, quando una violenta crisi economica ha colpito il paese. Nei due anni seguenti, alla crisi si sono aggiunte accuse di corruzione verso la presidente in carica e l’ex presidente Lula, che hanno portato all’impeachment della Rousseff nel 2016 e alla presidenza fino a nuove elezioni del centrista Michel Temer. Il PT ha provato a ricandidare Lula per queste elezioni, ma una sentenza del tribunale non glielo ha permesso. Così Haddad, da “running mate” dello storico leader petista, si è ritrovato candidato presidente del PT, cercando di ripulire l’immagine del partito rifacendosi ai risultati della presidenza Lula e allo stesso tempo condannando i fenomeni di corruzione. Haddad è stato ministro dell’istruzione dal 2005 al 2012, periodo nel quale ha standardizzato i sistemi d’accesso all’università e ha istituito un programma di borse di studio che ha reso accessibile l’università alle classi più povere, e sindaco di Sao Paulo (la città più grande del Brasile), dove ha attuato politiche per ridurre il traffico e i morti sulla strada costruendo migliaia di chilometri di corsie e strade riservate a trasporti pubblici e biciclette e istituendo limiti di velocità più bassi e stringenti di quelli precedentemente in vigore. In ambito economico propone di investire fortemente nelle infrastrutture del paese per far ripartire l’economia, abbandonando così le politiche di austerity del presidente uscente Temer. Per coprire le spese in ambito fiscale intende compiere una riforma di tipo progressivo, che faccia pagare aliquote più basse alle classi più povere e aliquote più alte a quelle più ricche. In ambito sociale Haddad sostiene maggiori tutele per la comunità LGBT (soggetta a forte discriminazione e violenze in Brasile) e una migliore demarcazione delle terre appartenenti ai nativi americani, oltre alla continuazione del lavoro di Lula e della Rousseff per il miglioramento delle condizioni delle parti della popolazione più povere e per la parità dei sessi in ambito lavorativo.
Dall’altra parte vi è Jair Bolsonaro, il candidato dell’estrema destra supportato dai militari e dalle forze di polizia che ha scioccato il mondo con un perentorio 46% dei voti completamente inatteso. Bolsonaro è probabilmente una delle personalità politiche più controverse degli ultimi anni. Dalla frase “non ti stupro perché sei troppo brutta per meritartelo” a “preferisco avere un figlio morto piuttosto che un figlio gay”, l’aspirante presidente ha rilasciato spesso dichiarazioni deprecabili, nelle quali ha più volte manifestato il suo supporto verso la dittatura militare che ha governato il paese sudamericano dal 1964 al 1984, ha sostenuto che è un diritto degli imprenditori pagare le dipendenti donne meno degli uomini, ha detto che il nepotismo è un diritto di ogni deputato, ha ammesso di non avere pagato delle tasse e ha istigato la gente a fare lo stesso e si è dichiarato fermamente a favore dell’uso della tortura e dell’omicidio a sangue freddo da parte delle forze di polizia. Tra gli oppositori però il suo programma elettorale getta ancora più scalpore delle dichiarazioni. Nonostante Bolsonaro usi una retorica ultra-nazionalista nei suoi discorsi, le politiche economiche che propone sono di stampo liberista. Vuole modificare le leggi sul lavoro, eliminando o indebolendo le tutele per le lavoratrici donne e le limitazioni al potere di licenziamento dei datori di lavoro, poiché le considera vincoli eccessivi per gli imprenditori. Per comprendere appieno l’impatto di queste proposte bisogna considerare che il Brasile è uno dei peggiori stati al mondo per disuguaglianza economica secondo il coefficiente Gini e ha serissimi problemi di gender gap (la differenza di stipendio tra un uomo e una donna con le stesse competenze per lo stesso posto di lavoro), quindi l’attacco alle leggi sul lavoro potrebbe mettere in seria difficoltà i brasiliani dal ceto medio-basso in giù. In ambito fiscale Bolsonaro ha promesso di semplificare il sistema riducendo il numero delle tasse, di decentralizzarne la raccolta e di abbassare le aliquote da pagare alle classi più facoltose. Per la politica estera, vuole spostare la priorità dalle relazioni con i paesi in via di sviluppo (principalmente gli altri membri del BRICS e i vicini dell’America latina) a quelle con Stati Uniti ed Europa, cosa che può avere pessime ripercussioni sulla situazione internazionale del Brasile, in quanto il paese ha forti legami con potenze e paesi del Sud del mondo (Cina in primis) e questa scelta potrebbe rovinare decenni di rapporti diplomatici produttivi, per cercare di stringere relazioni economiche con Paesi con una situazione economica molto diversa e soprattutto nel bel mezzo di una guerra commerciale. Bolsonaro intende inoltre uscire dal Consiglio sui Diritti Umani delle Nazioni Unite e, cosa più importante, dagli Accordi di Parigi sul clima. Ed è proprio in campo di cambiamento climatico e ambiente che l’aspirante presidente spaventa il mondo. Sembra infatti che voglia permettere alle grandi corporazioni di sfruttare economicamente l’Amazzonia come avveniva già in passato, minacciando così di danneggiare la Foresta pluviale più grande al mondo, vero e proprio “polmone del pianeta”, fondamentale per i processi naturali di eliminazione della CO2 dall’atmosfera, con conseguenze catastrofiche sulle emissioni di gas serra e quindi sul fenomeno del global warming.
Uno dei fenomeni più preoccupanti di questa tornata elettorale è la violenza con la quale i sostenitori dei vari candidati stanno vivendo questa situazione. In ambito internazionale ha fatto particolarmente scalpore l’accoltellamento di Bolsonaro da parte di un sostenitore del PT, ma in Brasile sono stati riportati diversi casi di violenze da parte di sostenitori del candidato di estrema destra verso minoranze, donne o simpatizzanti di Haddad. Verrebbe da dire che la fine del processo elettorale possa calmare queste violenze, ma purtroppo non è così. Dal giorno della fine del primo turno delle elezioni le violenze verso persone che hanno dichiarato di avere votato Haddad da parte di elettori di Bolsonaro sono radicalmente aumentate. Una donna che portava un badge di #EleNao, il movimento che riunisce le oppositrici di Bolsonaro, è stata aggredita e le è stata incisa una svastica nella pelle. Moa do Katende, maestro di capoeira (la tradizionale arte marziale brasiliana sviluppata dagli schiavi africani per difendersi) è stato accoltellato e ucciso da un uomo che dopo l’omicidio ha gridato il proprio supporto a Bolsonaro. Atti di violenza politica come questi oggi stanno diventando la norma. E il triste sospetto è che il ballottaggio del 28 ottobre non cesserà tutto ciò, ma lo peggiori. Un po’ perché i sostenitori più tenaci di Haddad sembrano disperati e senza nessuna voglia di accettare una presidenza del suo avversario; un po’ perché Bolsonaro ha detto che darà ministeri solamente ai membri del suo partito, il PSL, che controlla però solo un sesto del Congresso e che quindi avrà bisogno di alleati, alleati che senza la possibile pedina di scambio di un ministero sarà difficile trovare; un po’ anche perché Bolsonaro ha più volte dichiarato che un qualunque risultato diverso dalla sua vittoria sarà colpa di brogli elettorali. Ma la sua dichiarazione che lancia veramente un’ombra sul futuro del Brasile è la risposta alla domanda posta nel 1999 da un giornalista, che gli aveva chiesto che cosa avrebbe fatto il primo giorno da presidente se fosse stato eletto:
“Non c’è alcun dubbio, lancerei un colpo di stato il giorno stesso. Il Congresso non funziona e sono sicuro che almeno il 90% della popolazione applaudirebbe. Il Congresso di questi tempi non serve a nulla; si limita a votare solo quello che il presidente vuole. Se io fossi quello al comando, che prende le decisioni e che domina il Congresso, allora lancerei il golpe, farei diventare il paese una dittatura.”
Jair Bolsonaro
Andrea Bonucchi